L’alba dei morti viventi

l'alba dei morti viventi

l'alba dei morti viventiSe la trilogia degli zombi di George Romero esprimeva una sorta di orrore “politico” come mai veramente prima di “Night of the living dead”, 1969 ci era dato osservare, questa nuova, tardiva opera basata su un soggetto dello stesso Romero, oltre a non essere, come qualcuno ha scritto, un semplice remake del secondo film della trilogia, “Down of the dead”, appunto, visualizza con ancor più pessimismo dei precedenti, paure e angosce contemporanee di cui ancora una volta l’uomo urbanizzato è il vero e diretto responsabile.

L’idea originaria mathesoniana del virus che esplode distruggendo l’America, possedeva quel tanto di scientifico da appartenere ancora ad una tradizione di science-fiction che vede la stessa America interrogarsi su se stessa esorcizzando le proprie paure con risoluzioni finali tutto sommato positive, mentre qui ormai non solo l’epilogo, peraltro girato in modo straordinario con fotogrammi a bassa definizione, risulta del tutto apocalittico (con un esercito di zombi che ha già invaso un’isola deserta, ultimo paradiso rimasta dell’uomo civilizzato,) inseguendo toni tra il sarcasmo e la ferocia, ma l’intera narrazione non sembra lasciare più dubbi sulla definitiva inadeguatezza del genere umano. Gli stessi fotogrammi iniziali, nell’evocare scene di morte e di distruzione ad opera sia di governi che di singoli individui, suggeriscono un’ipotesi di lettura simbolico-biblica, peraltro confermata dalla frase pronunciata da un sacerdote dal video (uno degli omaggi letterali al film di Romero):”Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla terra”, secondo la quale i troppi morti nel mondo scatenerebbero una sorta di epidemia-vendetta nei confronti dei vivi, incapaci ormai di difendersi da se stessi, ossia da una possibile autodistruzione. Tuttavia in siffatta opera di genere, il segno politico si confonde con il suo controindicatore narrativo, nella fattispecie del canovaccio romeriano del gruppo eterogeneo di “vivi”, barricati in un ipermercato che gli zombi vorrebbero invadere. Qui persiste la vecchia metafora anticonsumistica che vedrebbe i morti viventi (che in questa versione, inspiegabilmente corrono anziché caracollare) ritornare proprio nel luogo più amato durante la vita., ma anche come spazio concentrazionario, prigione dorata da cui è difficile uscire.

Quanto al racconto, esso si snoda sul ritmo velocizzato dell’avventura per la sopravvivenza (che non ci sarà), alternando sequenze di routine e inserti volutamente comici, fors’anche un po’ troppo citazionistici, a frammenti, come quello della partita a scacchi sul tetto dell’ipermercato con un sopravvissuto barricato in un palazzo abbandonato, in cui per un breve momento parrebbe risvegliarsi un barlume di umanità irrimediabilmente perduta.


di Maurizio Fantoni Minnella
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