L’abbuffata

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abbuffata-mimmo_caloprestiDi ottime intenzioni L’abbuffata, ultima regia di Mimmo Calopresti, ne mostra tante, peccato che la generosità di spunti e suggestioni, non tutti di eguale qualità, si tengano in equilibrio precario sul filo leggermente surreale del racconto. Quattro giovani calabresi – Gabriele, Elena, Marco e Nicola – inseguono il sogno del loro primo film, un cortometraggio su un amore atteso e ritrovato; carichi di ingenua ma autentica passione, testardi e fortunati, alla fine, grazie a un contatto casuale, riescono ad ingaggiare il grande Gerard Depardieu nel ruolo del protagonista.
Attingere alle origini, nel duplice senso della biografia e del cinema, è la premura di Calopresti: la Calabria, sua terra natia, terra degli avi, è un territorio mitico nella bellezza dei luoghi, dei riti, delle relazioni, della cultura materiale, che sopravvivono nonostante i problemi del presente. Tali paesaggi e umanità chiederebbero di essere raccontati con lo sguardo originario della cinecamera, la cui autenticità si rinnova appunto negli occhi “affamati” di ragazzi che non sanno ancora chi sia Martin Scorsese o come funzioni la macchina da presa. Ne consegue il tentativo di comporre la storia con un linguaggio libero da sintassi consumate, capace di restituire freschezza alle inquadrature, soprattutto ritrovando la loro dimensione documentaria. Ne è un esempio convincente la grande sequenza della mobilitazione di un intero paese, Diamante, per preparare l’accoglienza a Depardieu, che nel frattempo i giovani cineasti stanno accompagnando a destinazione: da un lato, i volti e i gesti senza tempo delle donne che lavorano e cucinano le carni del maiale; dall’altro, le domande della star interessata soprattutto a godersi una bella vacanza. Ma l’incontro è comunque una festa di cordialità, che Calopresti dilata – anche grazie al pregevole accompagnamento musicale di Sergio Cammariere – indugiando a lungo sulla tavolata accolta da una splendida terrazza sul mare, durante la quale i ragazzi possono “rubare” le immagini del loro primo film.

Quando questo bisogno di un cinema più vero e più libero è contrapposto, nel contenuto narrativo, alle figure un po’ grottesche della gente che bazzica la settima arte italiana o al mondo finto dello show televisivo – come nella scena dell’eroina di un reality che torna ad abbracciare il suo fidanzato – L’abbuffata torna invece sui luoghi comuni più frequentati. Del resto, la televisione pare un tale concentrato di grida, frivolezze e orrori che davanti ad essa si può anche morire: cosa che succede al povero Depardieu, non si sa se di noia o di indigestione, dopo l’abbuffata – così è chiaro il riferimento a Ferreri. Ma: “è bello morire a Diamante!”, dice nell’ennesima intervista televisiva la sua fidanzata Amelie (Valeria Bruni Tedeschi), mentre il film imbocca decisamente un’atmosfera felliniana; morte che prelude a una rinascita, per Neri (Diego Abatantuono), il grande regista in crisi, che proprio a Diamante si è ritirato per sfuggire al cinismo dello spettacolo e che, grazie ai ragazzi e agli eventi, decide di rimettersi a lavorare. Personaggi come quello dell’autore corrucciato e in disparte, o del professore di inglese (Nino Frassica) che ambisce a diventare attor protagonista, sono bozzetti ricavati contraddittoriamente da un modo frusto di scrivere le sceneggiature, di cui, nelle intenzioni, L’abbuffata vorrebbe liberarsi.


di Antonio Medici
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