La terra degli uomini rossi – Birdwatchers

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birdwatchers-marco_bechisA parte la Coppa Volpi a Silvio Orlando e il premio per la migliore opera prima a Pranzo di Ferragosto diGianni Di Gregorio, il cinema italiano è uscito dalla 65a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia in modo alquanto anonimo. Un po’ per l’inadeguatezza dei film di Ozpetek, Corsicato e Avati, un po’ per la miopia di una giuria che ha totalmente ignorato il lungometraggio di Marco BechisLa terra degli uomini rossi – Birdwatchers.
Non v’è dubbio che Bechis sia una delle realtà creative più significative del panorama filmico italiano. ConBirdwatchers è giunto al suo quarto lavoro, dopo pellicole di assoluto interesse come Alambrado (1991),Garage Olimpo (1999) e Figli-Hijos (2001). In tutti questi anni dunque, oltre ad alcuni documentari, Marco Bechis ha girato poco, ma evidentemente deve aver riflettuto e studiato molto (come pochi registi fanno, di solito). Il suo è un cinema coerente, solido, mai qualunquista e banalmente commerciale, stilisticamente e registicamente inappuntabile.

Birdwatchers è un lavoro di rara densità contenutistica, il chiaro tentativo da parte di un cineasta sempre attento al continente sudamericano di dare visibilità alla vicenda di popoli ridotti ormai a vivere in riserve statali, nell’ambito delle quali non possono, di fatto, portare avanti in maniera naturale le loro tradizioni antichissime. Anzi, i loro usi vengono tristemente sfruttati da un turismo colonialista e ottuso che compra oltre al viaggio e alle visite guidate nella foresta amazzonica anche finte emozioni.
Nel suo straordinario lungometraggio, l’autore italo-cileno-argentino non si occupa solamente della condizione dei Guarani-Kaiowà, a cui viene impedito di vivere nei territori dove sono sepolti i loro avi. Il suo sguardo si spinge idealmente fino a illuminare uno degli eventi più agghiaccianti della storia dell’umanità, di cui quasi no si parla più: il genocidio delle popolazioni autoctone messo in atto nel continente sudamericano nei secoli passati.
L’atteggiamento dell’uomo bianco nell’America Latina di oggi deriva direttamente da questa gigantesca tragedia e Bechis fa vedere ciò senza mezzi termini. In Birdwatchers, quando il proprietario terriero bianco dice ai Guarani che occupano un fazzoletto dei suoi possedimenti come i suoi stessi genitori siano nati in quei posti, il leader della tribù Guarani senza pronunciare una parola raccoglie un pugno di terra e guardando negli occhi il suo interlocutore mangia ciò che stringe la sua mano. Questa è la scena cardine del film di Marco Bechis, il quale con intelligenza non scade mai nel folcloristico o nel puro antropologico. Il regista colloca invece dentro ogni sequenza un senso profondo, mai prevaricato dall’estetica visuale o dal compiacimento registico.

Birdwatchers colpisce lo sguardo dello spettatore facendo divenire la foresta amazzonica non il luogo di un bello idealizzato attraverso una visione consumistica e distorta europeo/americana ma il luogo del naturale, spazio vitale (per i Guarani) nel quale abita lo spirito di un popolo, l’essenza di una tradizione che si perde nell’abisso di una storia che forse non conosceremo mai.
Pare che Bechis abbia dovuto lavorare molto sui suoi interpreti indigeni per far recuperare loro il remoto uso del silenzio e delle pause. L’atteggiamento arcaico della dilatazione del tempo, dell’attesa, anche dell’immobilità, così voluto dal regista ha dato sostanza all’opera facendo divenire tutti i personaggi principali veicoli di un messaggio di incredibile forza umana.
Da segnalare la presenza nel cast di due attori italiani: Claudio Santamaria, nel ruolo di un ingenuo e un po’ ottuso scagnozzo del proprietario terriero bianco, e Chiara Caselli, in quello della cinica fazendeira che paga i Guarani per apparire improvvisamente nel mezzo della foresta a ignari e stolti turisti americani.

*Per concessione di www.cultframe.com


di Maurizio G. De Bonis
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