La stella che non c’è

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amelio-stellachenonLa stella che non c’è è un’opera ispirata e commovente, semplice, nel suo svolgimento, ma non scontata, di impianto tradizionale, ma non per questo banale. Amelio si concentra sul suo protagonista dal cognome significativo, Vincenzo Buonavolontà (Sergio Castellitto) e lo segue nel suo viaggio in Cina, inizialmente a Shanghai, e, poi, da una città all’altra, lungo la via del Fiume Azzurro, fino alla Mongolia meridionale.
Buonavolontà, manutentore specializzato nei controlli delle macchine, parte dall’Italia per consegnare di persona la centralina idraulica modificata che permetterà all’altoforno acquistato dai cinesi di funzionare e di non provocare incidenti agli operai. Attraverso gli occhi tristi e tenaci del manutentore italiano, lo spettatore è condotto alla scoperta di una Cina imprevista, di un paese sconosciuto e immaginato secondo stereotipi.
Con Liu Hua (Tai Ling), ragazza poco più che ventenne, ferita ma indomita, Buonavolontà percorrerà in lungo e in largo il paese alla ricerca del “suo” impianto e, forse, di se stesso. Di Buonavolontà e del suo passato non conosciamo, infatti, nulla: alla giovane cinese che lo accompagna e lo definisce una persona “buona”, l’italiano replica: “Tu non sai niente della mia vita”.
In effetti, fino alla fine, chi guarda non sa cosa abbia spinto realmente Buonavolontà lì e la domanda che resta sospesa è: da cosa, da chi, fugge quest’uomo? Il film non dà risposte in tal senso ma si chiude con un’immagine che lascia ben sperare: dopo essere scappato precipitosamente anche dalla dolce e caparbia Liu Hua , il manutentore a caccia della stella che non c’è viene da lei ritrovato e costretto, finalmente, a fermarsi.
“Sono stato fortunato” – conclude Buonavolontà riguardo all’esito della vicenda dell’altoforno: la vera fortuna per lui, in verità, è stata incontrare una persona come la giovane cinese, sradicata, come lui ma, probabilmente, più abituata a fare i conti con se stessa.
Come nella migliore tradizione, ancora una volta, il viaggio non è stato che un pretesto per incontrare “l’altro”, e attraverso l’altro, se stessi.
In altre parole, il versante privilegiato da Amelio non è tanto quello sociologico, pure presente, quanto quello interiore: la Cina, scura e malinconica, splendidamente resa dalla fotografia di Luca Bigazzi, più che protagonista, è sfondo, paesaggio dell’anima di due esseri soli e inquieti.
Liu Hua e Vincenzo sono, dunque, i protagonisti assoluti di un film in cui i movimenti che contano davvero sono, soprattutto, quelli interni.
In questo senso, il merito della riuscita di quest’opera, oltre che alla regia asciutta, essenziale e alla sceneggiatura priva di retorica, va, in modo particolare, a Castellitto e a Tai Ling, capaci di comunicarci, con misura e pudore, tutta la pena e il bisogno di riscatto dei propri personaggi. Anche le musiche di Franco Piersanti vanno nella stessa direzione e contribuiscono a creare un’atmosfera dolente, non pacificata, ma tutt’altro che rassegnata allo stato delle cose. Proprio come Vincenzo e Liu Hua.


di Mariella Cruciani
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