La sposa turca

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sposaturcaimgLa commedia etnica che ha saputo stupire, commuovere e vincere al festival di Berlino, intenerisce ed ammalia grazie al rigore tecnico e interpretativo che ne caratterizza la realizzazione dal primo all’ultimo fotogramma, al sapiente uso e dosaggio del personae drammatis e al determinato e particolare momento storico (della Germania, dell’Europa e del mondo) in cui questa proiezione si colloca. E’ fondamentalmente vedere oggi La Sposa Turca, se non altro per rendersi conto di ciò che accade in torno a noi ma anche nei nostri animi, per saggiare se non comprendere le diversità e le impossibilità di certi legami. Faith Akin con una discrezione che ha del raro, ci mostra ciò che l’amore comporta, ci fa addentrare in un percorso oscuro in fondo al quale, almeno per I primi 50 minuti, non si riesce ad intravedere uno spiraglio di luce, un uscita.

E’ proprio il personaggio della sposa, nella sua totalità e completezza, la figura più riuscita, vera e propria chiave di lettura: instabile, tenera e innamorata come nessuna diva hollywoodiana adesso saprebbe essere. In un anno “di spose” l’attrice Sibel Kekilli è più sincera della Maya Sansa de Il Vestito da Sposa della nostra Fiorella Infascelli, e più decisa ma tenera e reale di Uma Thurman in Kill Bill. Vince i confronti con il suo faccino strano, che buca lo schermo con gli occhi grandi e acquosi, il suo corpo efebico in un complesso d’immagine simile a un fumetto che intenerisce, che convince.
Sibell, una ragazza tedesca di origine turca, tenta il suicidio. Vittima delle oppressioni a cui è sottoposta dalla sua famiglia, di forte fede islamica, viene salvata e per un po’ vive sola in ospedale, col terrore di uscire e ritrovarsi di nuovo in quella squallida vita dalla quale aveva cercato invano di evadere con un gesto estremo. Proprio nel reparto della psichiatria, Sibell incontra un uomo triste e sconfitto (Birol Unel) che ha tentato il suicidio più volte causa la mancata elaborazione di un lutto improvviso, la perdita della sua amata moglie, che lo colpì anni fa. I due decidono a sorpresa di sposarsi, di comune accordo sul fatto che questo gesto resta solo e solamente una copertura, che garantisca libertà (libertinaggio?) a Sibell, libera di andare a letto con chi le pare. Ma come in tutte le commedie che hanno, nello svolgersi, una svolta melò ecco che entra in scena l’amore e le sue, in questo caso, nefaste conseguenze. Birol Unel si innamora della “sposa” ed è costretto a lottare contro tutto e contro tutti, anche contro di lei, per riuscire a realizzare quella che diviene una corsa contro il tempo, un rincorrersi frenetico che li porterà fino ad Istambul, nel cuore del problema, in un incontro tragico e amaro.

La Sposa Turca è un film di liberazione: religiosa, di emotiva intensità e sopratutto sessuale e quindi psichica (Freud insegna). Il suo ritmo, quasi ansioso nel finale, porterà il film verso una completa realizzazione artistica, porterà lo spettatore alla tanto agognata catarsi rincorsa dai manicomi di Berlino ai mercati di Istambul. E’ il ritratto del cuore di tenebra di una nazione, la Germania, che vive al suo interno l’evoluzione multirazziale delle masse, degli immigrati, e che pure risponde alla diversità con una politica indifferente e una mentalità regressiva. Diversa in tutto e per tutto Sibel “la sposa” vive sulla propria pelle, nel proprio cuore, il dramma e la condizione del disadattato in una società multietnica e pur globalizzata, industriale. Sullo sfondo del cupo skyline tedesco si delinea la storia di due destini tormentati che si inseguono, due cuori sanguinanti che si ritroveranno loro malgrado ad essere un tutt’uno per riuscire, ancora una volta, a sopravvivere da infelici in un mondo di nebbie e fango.


di Armando As Chianese
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