La società della neve
La recensione di La società della neve, di J. A. Bayona, a cura di Michela Manente.
Una storia così drammatica e agghiacciante, solo il cinema la poteva raccontare, con le inquadrature sulle distese profonde di neve perenne che fa da sfondo al senso di freddo penetrante, alla rappresentazione della disperazione per la fame e per la paura per la morte incombente ogni giorno in più passato tra i ghiacci andini.
Il barcellonese J. A. Bayona, già regista dell’horror The Orphanage (El orfanato, 2007), prende spunto dal romanzo omonimo di Pablo Vierci, che contiene la raccolta delle testimonianze dei sopravvissuti alla caduta del volo uruguaiano non di linea che nel 1972 stava trasportando la squadra di rugby studentesca in Cile per una competizione, assieme ai tecnici e ai parenti. Una vicenda vera e terribile che ha scosso l’opinione pubblica mondiale per come si è conclusa piuttosto che per l’incidente aereo.
La società delle neve (La sociedad de la nieve, 2023) è il racconto del tentativo dei sopravvissuti, nessuno tra la crew dell’aereo, di vivere, nonostante tutto, nonostante il gelo, le malattie e la carenza di cibo andando contro uno dei più profondi taboo degli esseri umani. Il nuovo film targato Netflix, uscito il 4 gennaio scorso, già apprezzata pellicola di chiusura dell’80esima Mostra del Cinema di Venezia, è raccontato da Numa Turcatti, uno dei protagonisti, sia in vita che in morte, voce di uno tra i sopravvissuti al disastro ma che non ce l’ha fatta a resistere fino al rimpatrio a causa di un’infezione incurabile.
Solo l’agire assieme, l’aiutarsi, decidere collettivamente, proteggere i più deboli con lo scopo di tornare a casa terrà alto il morale per diventare, per 72 giorni fino alla liberazione dei sedici fortunati ed eroici sopravvissuti, una “società” della e tra la neve. Candidata agli Oscar 2024 dalla Spagna come Miglior Film Internazionale, la pellicola è un coacervo di emozioni drammatiche e scenari naturali estremi della Cordigliera che alimentano un’opera che ha nella performance corale di un cast di sostanza, ma privo di nomi altisonanti, un indiscutibile valore aggiunto.
di Michela Manente