La sedia della felicità
Carlo Mazzacurati ha sempre avuto la nomea di essere autore melanconico, capace di fare sorridere o ridere ma con una punta di tristezza. Per il suo ultimo film aveva invece deciso di realizzare una commedia vera grazie alla quale, come aveva dichiarato, come spettatore avrebbe voluto solo divertirsi. C’è riuscito, donandoci un bel ritratto del suo nord-est in cui due forestieri, l’estetista e il tatuatore ci fanno scoprire la filosofia di una zona culturale ed etnograficamente diversa da qualsiasi altra parte dell’Italia.
L’idea iniziale non è certo nuovissima, visto che si tratta dell’ennesima traslazione sullo schermo de Le dodici sedie pubblicato nel 1928 da Il’ja Arnol’dovič Il’f ed Evgenij Petrovič Petrov, primo romanzo di una coppia d’autori divenuti poi molto importanti per la letteratura popolare russa.
Secondo Mazzacurati erano venticinque le versioni precedenti. Tra le più note sicuramente ci sono ll mistero delle dodici sedie (The Twelve Chairs, 1970) di Mel Brooks con Ron Moody, Dom DeLuise, Frank Langella e Mel Brooks, preceduto l’anno prima dalla coproduzione franco italiana Una su 13 (12 + 1) diretta da Nicolas Gessner e Luciano Lucignani con Vittorio Gassman, Orson Welles, Terry Thomas e Vittorio De Sica. Questo nulla toglie alla freschezza del film, alla piacevolezza dei dialoghi, il tutto supportato dalla bella prova dei bravi interpreti, molti dei quali notissimi e utilizzati in cammei quasi sempre gradevoli. Le sedie sono ridotte a otto in confronto all’originale letterario e a vari film, ma la scelta è stata dettata per dare maggiore spessore ai tre personaggi principali che si incontrano, si scontrano, si ostacolano per divenire alla fine tre importanti pedine di un gioco sicuramente illegale che potrebbe permettere ad ognuno di loro un futuro migliore, con meno preoccupazioni finanziarie.
Valerio Mastandrea è un romano giunto a Iesolo per amore, che ora è separato e non può nemmeno vedere il figlio perché in ritardo col versamento degli alimenti. Ha uno studio di tatuaggi ma, per la crisi, spesso è pagato in natura. È un buono, la disperazione ormai aleggia sulla sua vita, probabilmente accetterebbe qualsiasi cosa pur di chiudere questo brutto capitolo.
Isabella Ragonese ha un bel negozio di estetista proprio di fronte a Valerio. È brava nel suo lavoro ma non riesce a pagare le rate per divenire realmente proprietaria delle attrezzature professionali. Man mano le tolgono ogni cosa e non sa proprio come fare a non fallire. Lavora anche in un carcere dove un’anziana signora madre di un malvivente, in punto di morte le svela che in una sedia a casa sua ha nascosto un tesoro non esattamente lecito. Cerca, così, di penetrare nella villa della donna, ormai in stato di abbandono, ma rimane intrappolata tanto che chiede l’aiuto del tatuatore a cui dovrà svelare il suo segreto. Le sedie non ci sono perché oggetto assieme agli altri mobili di un sequestro giudiziario: da qui l’inizio della loro impresa non esattamente onesta per scoprire dove sono le varie sedie, normalmente rubarle e sventrarle.
Giuseppe Battiston è il padre confessore del carcere e anche a lui l’anziana ha detto il suo segreto. Rovinato dal videopoker, ha venduto tutti i suoi beni e ipotecato anche la canonica: è prete in pectore ma uomo disposto a tutto pur di avere una nuova chance nella vita.
Questi i personaggi principali che ricalcano in maniera quasi perfetta quelli della pagina letteraria, ma la bravura degli sceneggiatori è stata quella di rendere nuove e originali sia le loro figure che l’intreccio. Il meglio l’hanno fatto disegnando i tanti piccoli comprimari che animano con ironia ogni momento del film. Si comincia con Katia Ricciarelli morente che fa partire questa tragicomica caccia al tesoro per poi proseguire con altri bei cammei. Raul Cremona è il Mago Kasimir, un cialtrone che si esibisce in convention aziendali, con trucchi datati, aiutato da assistenti particolarmente…coreografici. Milena Vukotic è la sensitiva involontaria complice del prete a cui, in sedute medianiche, svela molto delle sedie e di come trovarle. Marco Marzocca è un indiano che gestisce un chiosco da fiorista davanti a un cimitero e con furbizia riesce ad essere pagato per dare via una delle otto sedie. Antonio Albenese si sdoppia divenendo gemello di se stesso in un’esilarante partita a ping pong. Roberto Citran è un pescivendolo nervoso e maniacale collezionista anche di sedie che costringe Mastandrea a comperare per rispondere alle sue domande mentre la Ragonese finge di andare alla toilette e si occupa del possibile nascondiglio del tesoro. Fabrizio Bentivoglio e Silvio Orlando sono animatori di truffaldina vendita televisiva di pseudo oggetti d’arte che cercano di vendere quadri di un terribile pittore naïf ma che saranno utilissimi ai nostri eroi.
Poche battute per ognuno, ma tutti personaggi che si ricordano volentieri perché tutto sommato ben definiti. Mazzacurati li ha voluti nel film e loro hanno accettato volentieri, tutti attori che avevano già lavorato con lui. Battiston aveva dimostrato un po’ di scetticismo sul fatto altri suoi colleghi accettassero di fare quasi una comparsata: la risposta del regista era stata ma certo che vengono, chi vuoi che dica di no a un povero malato.
La sceneggiatura, oltreché dal regista, è stata firmata dal nipote Marco Pettenello autore molto attivo nel cinema italiano con collaborazioni importanti in film di Soldini, Segre ma anche con Mazzacurati per cui, tra l’altro, aveva scritto La lingua del Santo (1999) e La Passione (2010). A loro si è unita Doriana Leondeff, una delle migliori sceneggiatrici italiane che in una ventina di anni di attività ha collaborato ad oltre venticinque film del migliore cinema italiano con vari contributi nel film del regista padovano.
Il mondo di Mazzacurati era fatto di un gruppo di professionisti che lavoravano bene assieme e che avevano creato una grande famiglia attorno a lui, come ad esempio il direttore di fotografia Luca Bigazzi. Era un cinema artigianale, fatto da un autore che amava raccontare, non insegnare. Un cinema bello, interessante, a tratti imperfetto ma sempre genuino.
L’orso che anima le ultime scene del film, quelle ambientate in alta montagna coi fratelli che vivono lontano dal mondo (possiedono una delle sedie), è stato voluto dal regista e rappresenta, forse, il suo desiderio di libertà nelle terre che ha tanto amato e che sono state quasi sempre al centro dei suoi lavori.
Trama
Al momento della morte, una anziana carcerata svela alla sua estetista che la refurtiva dell’ultimo colpo del figlio è nascosta in una sedia. Per un insieme di contrattempi, la ragazza coinvolge nell’avventura un tatuatore con problemi finanziari come lei che si innamorano. Un misterioso prete è anche lui alla caccia del tesoro e, alle volte, li precedono. Dapprima rivali, poi alleati, i tre diventano protagonisti di una rocambolesca avventura che, tra equivoci e colpi di scena, li vedrà impegnati alla ricerca delle otto sedie dai colli alla pianura, dalla laguna veneta fino alle cime nevose delle Dolomiti, dove in una sperduta valle vivono un orso e due fratelli di cui un pittore naïf .
di Redazione