La regola del silenzio

Robert Redford si concede alla regia con parsimonia con risultati ottenuti nei suoi nove titoli sempre professionali anche se non necessariamente esaltanti. Dopo il buon debutto nel 1980 con Gente comune gli altri titoli sono stati meno interessanti. Ma la scuola di autori quali Sydney Pollack ed Arthur Penn con cui ha lavorato, gli ha insegnato a realizzare film robusti, senza troppi fronzoli, diretti al pubblico. In ogni sua opera si respira quella rassicurante aria dei film anni ’70.

La trasposizione del bel romanzo di Neil Gordon lo ha sicuramente riportato verso livelli superiori, non fosse altro per i contenuti. Si parla dei “Weather Underground” o “Weatherman”, un gruppo politico di sinistra diffamato come pochi dal Governo in una caccia alle streghe contro un comunismo visto quale pericolosa arma di destabilizzazione, forse come unico in grado di fare venire dubbi sulla folle politica soprattutto estera con la guerra nel Viet Nam, col governo Nixon contro la Cambogia o con altri interventi a dir poco discutibili.

Entrato ufficialmente in attività nell’ottobre del 1969 con una violenta marcia che mise a ferro e fuoco un elegante quartiere di Chicago, praticamente terminò il suo percorso 6 anni dopo. Durante questi anni di piombo preparavano e piazzavano ordigni in luoghi simbolo quale il Campidoglio che durante la notte venivano fatti saltare. Questo, per evitare l’uccisione di persone.

Nel libro si parla di una rapina in banca finita tragicamente con la morte di una guardia giurata nel 1981; in quell’anno due appartenenti all’ormai disciolto gruppo assaltarono un blindato e tutto finì in strage. Da questo fatto vero Neil Gordon ha tratto quello che è il nocciolo drammaturgico della vicenda su cui ruota la vicenda del padre modello che non rinnega il suo passato ma che alla figlia insegna ideali molto diversi dai suoi.

E’ la storia di un nucleo di ex studenti che ha preso strade diverse, che ha cambiato identità, che ha sposato persone sotto falso nome. Un nucleo di idealisti che mai ha tradito i vecchi amici, che dopo trent’anni sono ancora leali, si aiutano a rischio di essere scoperti ed incarcerati. Migliori dei ‘buoni’ che cercano di smascherarli con freddezza e senza capire cosa si celi dietro gli ordini che ricevono.

La struttura narrativa è quella di un classico thriller ma è più importante il tentativo di fare conoscere uno dei capitoli dimenticati della storia recente degli Usa. E’ vero, non siamo di fronte ad una feroce critica, spesso le problematiche dei singoli prendono più spazio che non i momenti di critica sociale e politica ma, per un film girato all’ombra di Hollywood anche questo è normalmente difficile, pericoloso. Forse ancora più importante del raccontare dei Weatherman è la presa di posizione contro un giornalismo d’assalto dove per ottenere la notorietà ed aumentare le vendite si è disposti a sacrificare persone vere, il loro presente, il loro futuro.

Robert Redford attore fa dimenticare la sua età avanzata, i vari interventi per tacitare l’inesorabile trasformazione del volto e, alla fine, diviene credibile quale tenero padre cinquantenne di bimba avuta dalla moglie dopo che aveva cambiato identità e che lui  gestisce da solo dopo la di lei tragica morte. Misurato, si dona nei minuti finali una delle più belle scene di tutto il film, lui e la figlia soli verso il futuro.

Il sempre più convincente Shia LaBeouf dipinge con diligenza la figura del giornalista d’assalto donandogli cattiveria legata ad incapacità di pensare con umanità agli altri. Recita sotto tono anche se in alcuni punti il suo personaggio urla la sua voglia di esistere e di apparire. Susan Sarandon, con poche battute, disegna la figura della terrorista che non sopporta più di vivere sotto mentite spoglie e decide di consegnarsi alla giustizia. E’ una persona stanca che non rinnega il suo passato ma che è stata trasformata dal essere diventata madre e moglie.

Nick Nolte è magico nel fornire credibilità ad un uomo ormai affermato che rischia tutto pur di aiutare una persona che stima. Appesantito dagli anni, non perde comunque il suo vigore di attore in grado con uno sguardo di dire mille parole. Stanley Tucci è il capo del giovane giornalista, timoroso del proprio editore ma che rischia per aiutare quel ragazzo in cui si identifica. Julie Christie ha sulla carta un ruolo importante ma forse sullo schermo non riesce a dargli il peso che meritava.

Bellissima la colonna sonora ricca di contenuti punk di Cliff Martinez, ex Red Hot Chili Peppers, molto attivo nel cinema di qualità e non con una trentina di titoli, musicista di riferimento per Steven Soderbergh ma anche prezioso collaboratore di Nicolas Winding Refn e James Cox.
In definitiva, siamo di fronte non certo ad un capolavoro ma ad un film che permette di pensare e discutere. E questo non è certo poco.

TRAMA

Dopo trent’anni di latitanza, ex terrorista viene arrestata mentre sta per consegnarsi alle autorità. Giovane reporter di giornale locale ha l’incarico di scrivere pezzi sia sulla donna che su quel movimento che nel 1981, durante rapina in banca, aveva provocato la morte di agente della sicurezza. Jim Grant è vedovo, padre di una bimba di 11 anni, fa l’avvocato in una tranquilla città di provincia  ed a lui un vecchio amico comune chiede di accettare la difesa, ottenendo un diniego. Il giornalista investiga e scopre che dietro l’apparenza tranquilla anche lui faceva parte di quel nucleo armato. Ma i segreti non terminano qui, con ex capo della Polizia che sapeva e non svelò importanti notizie, con l’amore tra l’avvocato e una compagna di lotta.


di Redazione
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