La ragazza nella nebbia

È un film ambizioso La ragazza nella nebbia, già a partire dalla volontà quasi demiurgica di Donato Carrisi, autore del romanzo omonimo uscito nel 2015, ora unico sceneggiatore e regista. Per il suo esordio alla macchina da presa Carrisi ha voluto il controllo totale sulla storia da lui ideata, ha ottenuto un cast di richiamo con nomi internazionali e costruito un prodotto di genere con evidenti pretese autoriali. Il risultato, però, non è all’altezza delle pur legittime aspirazioni. La ragazza nella nebbia è un film dall’identità piuttosto confusa, che se da un lato strizza l’occhio agli spettatori cinefili con una serie di citazioni (anche goffe, come il berretto da neve della poliziotta Michela Cescon ripreso da Fargo dei Coen), dall’altro fa ricorso a una messa in scena piatta e molto televisiva. E’ difficile capire a quale tipo di pubblico si rivolga esattamente lo scrittore, sceneggiatore e regista. Perché se è vero che le atmosfere di quest’opera prima ricordano volutamente Twin Peaks, è altrettanto vero che Carrisi è ben lontano da David Lynch. E se invece l’intenzione dell’autore è quella di parlare a un pubblico che si nutre di cronaca nera e di sensazionalismo televisivo pur magari criticandoli (come peraltro lo stesso Carrisi, che per l’intreccio si ispira sfacciatamente al caso di Yara Gambirasio), allora non si capisce perché non ne abbia fatto una fiction da prima serata Raiuno. Fiction italiana di quella andante, perché dalle buone serie tv americane siamo lontanissimi, qualsiasi titolo poliziesco della media produzione Usa recente ha più ritmo e più stile della Ragazza nella nebbia.

Allora, si comincia con un ispettore, Vogel, che dovrebbe essere smemorato dopo un misterioso incidente. In realtà comincia subito a raccontarsi con dovizia di particolari a un bonario psichiatra dall’accento francese ed ecco partire il meccanismo del flashback. Si entra nell’indagine, da subito soffocata, letteralmente e nella riuscita filmica, dall’invadenza dei media, usati con spregiudicatezza dall’ispettore per i propri scopi. Ricordiamo che non si tratta certo di un’idea originale, che il discorso sul cinismo dei giornalisti alle prese con la paura e la morte ha contribuito a fare grandi molti film (uno per tutti: L’asso nella manica di Billy Wilder): ma non è il caso di questo. Carrisi, lacunoso ma a tratti intrigante come sceneggiatore, si perde completamente nella regia. Il ritmo è lento, la messa in scena è banale; inoltre non rendono un buon servizio al film né le musiche, ridondanti ma non coinvolgenti, né la fotografia. Che dire poi dell’inguardabile “modellino” che apre molte scene? Vorrebbe essere un richiamo al famoso plastico di Vespa, finisce per sembrare un presepe un po’ sinistro un po’ ridicolo (ci spunta persino il sole). Nella parte finale, il film si risolleva in parte dalla piattezza e presenta diversi momenti interessanti, pur lasciando molti interrogativi allo spettatore (il Carrisi scrittore dà evidentemente troppe cose per scontate).

Il protagonista è Toni Servillo, il grande Toni Servillo, scelto probabilmente non solo per la sua fama consacrata dalla Grande bellezza, ma anche perché è stato dieci anni fa interprete di un film dal titolo simile, La ragazza del lago di Andrea Molaioli. Quello sì era un bel film, intrigante, malinconico, intellettualmente onesto. E là Servillo era perfetto, mentre qui, pur sempre carismatico, appare a disagio, enfatico, teatrale, spaesato. Eccellente invece è la prova di Alessio Boni, nel ruolo del personaggio più complesso e interessante, il “mostro” sbattuto in prima pagina. Una bella sorpresa è la presenza di Jean Reno (citazione vivente dei Fiumi di porpora) che recita benissimo in italiano. Michela Cescon è come al solito bravissima ma la sua parte è un po’ sacrificata (e appesantita dal berretto di Fargo). Una breve e intensa apparizione la fa anche Greta Scacchi, quasi irriconoscibile. Lorenzo Richelmy è indovinato nel ruolo di Borghi, il pragmatico vice del bizzarro Vogel. Insomma, i talenti in gioco sono molti e i loro sforzi sarebbero stati degni di miglior causa.

 

 TRAMA

 

Nel villaggio di montagna di Avechot è scomparsa una ragazza di sedici anni, Anna Lou. Sul caso indaga Vogel, uno spregiudicato ispettore che arriva dalla città e fa un uso cinico dei mezzi di informazione. L’attenzione di polizia e televisioni si concentra su un professore dall’aria mite che continua a professarsi innocente, ma che forse ha parecchio da nascondere, come lo stesso Vogel.

Trama

Nel villaggio di montagna di Avechot è scomparsa una ragazza di sedici anni, Anna Lou. Sul caso indaga Vogel, uno spregiudicato ispettore che arriva dalla città e fa un uso cinico dei mezzi di informazione. L’attenzione di polizia e televisioni si concentra su un professore dall’aria mite che continua a professarsi innocente, ma che forse ha parecchio da nascondere, come lo stesso Vogel.

di Anna Parodi
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