La masseria delle allodole
“Ho ucciso una ragazza armena: era la donna che amavo”. Con queste parole, Youssouf (Moritz Bleibtreu), giovane soldato turco, denuncia per primo se stesso per l’uccisione dell’amata Nunik (Paz Vega), durante il processo, poi sospeso, per i crimini commessi dai turchi contro gli armeni.
Siamo nel 1919 e, da allora, il popolo armeno attende ancora giustizia: La masseria delle allodole, dopo Ararat diAtom Egoyan e Viaggio in Armenia di Robert Guédiguian, ha, senz’altro, il merito di attirare l’attenzione su un genocidio per troppo tempo dimenticato. Ma non si tratta soltanto di questo: il film dei Taviani è, certamente, incentrato sugli armeni ma non è un documentario o un attacco al popolo turco. Coerentemente con la loro filmografia, i Taviani vogliono raccontare, anzitutto, storie di uomini e donne, scoprirne i misteri, seguirne il destino individuale, seppur proiettato in un grande evento collettivo.
E’ qui, da sempre, la forza del loro cinema: nell’affetto che nutrono, e trasmettono allo spettatore, per i propri personaggi, mai semplificati, bensì ritratti con le inevitabili ambiguità e contraddizioni. Non è un caso che un film carico di violenza, come questo, finisca con la parola “amore”: l’ambivalenza regna sovrana nell’animo umano e i Taviani si dimostrano, ancora una volta, particolarmente attenti ai meccanismi psicologici.
Vediamo, così, una varia umanità alle prese con spinte interne opposte: emblematica, in tal senso, la figura del mendicante Nazim (Mohammad Bakri) che, prima, tradisce i suoi benefattori, poi, si pente e si riscatta, salvando quel che resta della famiglia. La stessa doppiezza si riscontra nel Colonnello Arkan (Andre’ Dussollier) che si ritrova, suo malgrado, costretto a uccidere il medico armeno che gli ha precedentemente salvato la vita.
Più banalmente, la moglie ( Enrica Maria Modugno) del Colonnello, pensando alla tragedia che si abbatterà presto sulla famiglia, prima, stringe forte la piccola degli Avakian, chiedendole scusa, poi, in una sorta di delirio, confessa che la loro specchiera non sfigurerebbe nel suo salotto. Persino le bambine non sfuggono a questo tipo di stato d’animo: durante la deportazione nel deserto, si mostrano molto legate a Nunik ma non esitano a rivoltarsi contro di lei quando la ragazza non ha più pane per sfamarle.
In definitiva, La masseria delle allodole coinvolge e appassiona nella misura in cui i Taviani riescono a rendere vivi e palpitanti i loro “eroi”; viceversa, accusa qualche momento di stanchezza o calo di tensione quando compaiono personaggi secondari o poco sviluppati, come quello di Ismene (Angela Molina), o situazioni macchinose, come quelle legate alla Confraternita dei Mendicanti, alla quale appartiene Nazim.
Complessivamente, comunque, il film convince e restano impresse nella memoria immagini di grande, tragica bellezza, come la crocifissione delle donne dopo il tentativo di fuga o il dolore senza voce di Armineh (Arsinee Khanjian), quando, sollevata dai Turchi su una sorta di poltrona, osserva, impotente e inebetita, i cadaveri che si accumulano nel cortile della masseria.
di Mariella Cruciani