La lunga corsa
Ignazio Senatore recensisce il film di Andrea Magnani.
È di storie nuove che ha bisogno il cinema italiano, cristallizzato nei soliti film incentrati sulle crisi di coppia, sugli immancabili tradimenti e sulle nevrosi generazionali. Non è, fortunatamente, questa l’idea di cinema di Andrea Magnani, che, alla seconda regia, dopo il convincente Easy – Un viaggio facile facile (2017), dirige una favola poetica e delicata. Protagonista è Giacinto (Adriano Tardiolo), nato e cresciuto in un carcere femminile, figlio di due pregiudicati. Prima il padre e poi la madre lo abbandonano al suo destino e Giacinto è allevato da Jack (Giovanni Calcagno), il capo delle guardie, che si prende amorevolmente cura di lui. Divenuto maggiorenne, Giacinto deve essere trasferito in una casa d’accoglienza per orfani, ma è bullizzato e, incapace di vivere nel mondo reale, fugge, si fa arrestare, e si rifugia nuovamente in carcere. Promosso a guardia carceraria, finirà per solidarizzare con Rocky (Nina Naboka), una detenuta e…
Magnani mette in campo Giacinto, un classico anti-eroe che non riesce a vivere al di fuori delle quattro mura del carcere, divenute per lui un caldo e rassicurante utero materno. Sin da quando è venuto al mondo, deve scontare, suo malgrado, l’aver deluso i genitori che aspettavano una femmina alla quale volevano dare il nome Rosa. Rifiutato dal padre, che lo usa come espediente per fuggire da galera, disprezzato dalla madre, animo candido e ingenuo, corre, smarrito e spaesato, per l’Istituto di Pena senza una meta precisa alla (vana?) ricerca della propria identità. La sua identificazione con una detenuta e non con le guardie carcerarie, certifica, in qualche modo, che anch’egli, sa di essere un recluso, seppur volontario, anche perché, paradossalmente, non sa che farne della cosiddetta libertà. Sul finale ottimista, che non stride con il resto della narrazione, compirà il percorso di crescita e, finalmente, s’affrancherà.
Magnani rilegge così, in qualche modo e in maniera surreale, il genere prison movie, mettendo in campo un personaggio che, invece, di cercare di evadere dal carcere, fa di tutto per restarci. Si ride e non mancano le pagine di grande cinema; su tutte quelle che mostrano il piccolo Giacinto attraversare di corsa e sorridendo le celle del carcere mentre é rincorso vanamente da Jack. Applausi per uno stralunato Tardiolo e per un paterno e affettuoso Calcagno. Nel cast Barbora Bobulova nei panni della direttrice del penitenziario.
di Ignazio Senatore