La luna su Torino
Davide Ferrario è autore che si muove su vari campi narrativi sempre con risultati quantomeno professionali. In questa occasione, ha creato un film d’autore che, come tale, a tratti pecca di un certo intellettualismo che lo rende meno diretto, fruibile, godibile. Ci fa vedere Torino con gli occhi di chi ci vive e di chi la conosce bene, ci fa scoprire angoli poco noti e vivere atmosfere difficilmente presenti in tante altre opere girate da altri suoi colleghi. Attraverso le inquadrature racconta una città che forse non esiste nella realtà ma che riesce a donare emozioni, a fare sognare.
Il 45° parallelo è parte preponderante dell’idea iniziale della sceneggiatura e segna vari momenti sia del film che della vita dell’autore. Torino è divisa da quella linea invisibile equidistante da Polo Nord ed Equatore, Ferrario ci vive a trecento metri in linea d’aria ed è nato a Casalmaggiore che è proprio sul 45°. Ma, forse, poggiare il film su questa trovata iniziale non è stata cosa felice; l’ha ha costretto a fare salti mortali per giustificare lo sviluppo delle tre storie che voleva raccontare; è parso più un gioco di bravura che non un elemento utile per il film. Ne consegue un’opera fin troppo ricca di contenuti che soffocano l’interesse dello spettatore messo a dura prova tra dotte citazioni, funambolici voli pindarici e una costruzione narrativa che appare di struttura teatrale e priva di ritmo.
Parente stretto del bellissimo Dopo mezzanotte (2003), il ritorno al lungometraggio a quattro anni da Tutta colpa di Giuda (2013) risulta poco convincente, incapace di raccontare come avrebbe voluto emozioni, storie, Torino, la magia di poter pensare che, rimanendo sullo stesso parallelo, si possa raggiungere la Mongolia, quest’ultima vista come chiave per una vita da sogno, per realizzare utopie che possono trasformarsi in realtà.
Le citazioni della prosa e del pensiero di Giacomo Leopardi inizialmente sembrano giustificate e giustificabili quali spiegazioni di momenti di vita che affrontano i tre personaggi ma alla fine stancano e fanno dimenticare le vicende che stanno affrontando sullo schermo i nostri eroi.
Il protagonista è un uomo sui quarant’anni che ha ereditato dai ricchi genitori, morti in un incidente, un bel casolare, ora fatiscente, con in più una rendita che gli ha permesso di non affrontare mai i problemi della vita. Non lavora, probabilmente non ha mai lavorato, la sua esistenza scorre tra incontri con persone che lo accettano per quello che è, senza chiedergli nulla, soprattutto anziani di cui è divenuto amico e che apprezzano le sue doti di cuoco.
Prende in casa due giovani, un ragazzo e una ragazza, per dividere le spese di gestione della grande abitazione posta nell’incanto delle colline torinesi, ma ben presto si dimentica di chiedere loro il denaro della pigione. È un sognatore, cita Leopardi, non ha intenzione di divenire adulto anche se ha preso una cotta per la inquilina: intensa, ma con caratteristiche da amore adolescenziale. Per lui il vero piacere, che vive con carnalità e trasporto, è quello della finzione dei Manga erotici che guarda nel salotto lontano da occhi indiscreti.
La giovane lavora in un’agenzia di viaggio all’interno di un freddo centro commerciale, vende illusioni ma non ha mai abbandonato la sua vita sedentaria se non con la fantasia. Ama il cinema muto, costringe le persone che le sono amiche a frequentare sale in cui gli spettatori vivono di rarefatte emozioni. Quando parla con chi ha visto il mondo sogna e vorrebbe cambiare vita ma solo l’incontro con un cliente che fa il fotografo la convince che è il momento di iniziare una nuova esistenza, di scoprire in realtà chi sia veramente. Si innamora dell’uomo: lui la corteggia ma la sua collega d’ufficio diviene forse una rivale in amore.
Terzo personaggio: uno studente di lettere che ha sposato il suo lavoro da precario come fosse quello definitivo. Trascorre tutta la giornata in questo bioparco dove è divenuto amico di enorme tartaruga, a contatto con un mondo che lo soddisfa e che gli preclude il desiderio di cambiare. Vive indeciso sul suo futuro ma appagato dal presente, reso felice dall’amore per gli animali che accudisce.
I tre rimarrebbero forse in eterno in attesa di capire cosa fare della propria esistenza, lontani come sono dal mondo reale e protetti dalla magia del casolare: ma un mutuo mai pagato li costringe ad abbandonare la fanciullezza e a cercare di divenire adulti. Il distacco tra Ferrario e quanto racconta è notevole, a tratti crea forte disagio. Il film è fatto di magiche immagini, di sofisticate atmosfere, di dotte citazioni, di musiche molto belle: manca semplicemente la capacità di rendere in maniera credibile quanto scritto nella sua sceneggiatura.
Meglio fa con i personaggi minori, quali il controllore cappellone della tranvia per Superga che sa tutto del Torino o con l’anziano che vive per scroccare qualche pranzo. Anche il coro delle mondine riesce a essere utile alla narrazione con quel tocco di vita popolare ormai dimenticata. Poco, troppo poco per non rimpiangere i suoi film precedenti e i bei documentari che ha realizzato. Probabilmente, dovrebbe capire che questo suo amore per Torino dovrebbe tornare in una sfera più privata.
Le musiche sono di Fabio Barovero che ha con lui collaborato negli ultimi due film; aiutano a unire vari momenti narrativi anche se non sono sufficienti per eliminare i salti presenti nella sceneggiatura.
Gli interpreti sono volti relativamente poco noti, come abitudine del regista che in questa maniera continua l’interessante ricerca di talenti da aiutare ad emergere.
L’attore milanese Walter Leonardi dona a Ugo grande umanità e riesce a costruire un personaggio composito: le sue molteplici esperienze teatrali, televisive e cinematografiche lo hanno aiutato a capire una figura molto difficile da rendere perché troppo carica di attese da parte di Ferrario.
La genovese Manuela Parodi deve combattere con l’inconsistenza di Maria e vince questa difficile sfida. Molto bene impostata, con una recitazione attenta, dovrebbe essere più spontanea: ha un’ottima dizione, bella espressività ma è ancora alla ricerca di una sua identità originale.Il veronese Eugenio Franceschini è bravo, ma il suo personaggio è sicuramente il più semplice da rendere perché incarna i sogni dei giovani comuni. Dario vive felice coi suoi animali, ama anche le ragazze, non si pone troppi interrogativi sul futuro.
Davide Ferrario resta, nonostante questa prova non completamente convincente, un autore da seguire e in grado, ne siamo certi, di donarci come per il passato opere da ricordare.
TRAMA
Nella Torino divisa dal 45° parallelo in casolare sulle colline vive un quarantenne, che non ha mai lavorato potendo contare sull’eredità ricevuta da adolescente alla morte dei genitori, assieme a giovane impiegata di agenzia viaggi e a uno studente di lettere che lavora in un bioparco tra animali e bagnanti: ufficialmente sono suoi inquilini ma non gli pagano la pigione. I tre dividono momenti comuni, il padrone di casa prende una cotta per la ragazza ma tutto prosegue senza preoccuparsi del domani. La situazione precipita quando l’ipoteca che pende sulla casa sta per scadere e i tre rischiano di ritrovarsi per strada: il che spingerà ciascuno a seguire il proprio destino legato, comunque, alla magia del 45° parallelo.
di Redazione