La grande abbuffata
La recensione di La grande abbuffata, di Marco Ferreri, a cura di Ignazio Senatore.
Ritorna nelle sale, a distanza di cinquant’anni, La grande abbuffata, per la regia del geniale e insuperabile Marco Ferreri. La trama è nota. Quattro amici inseparabili, Ugo (Ugo Tognazzi), cuoco Michel (Michel Piccoli), produttore televisivo, Marcello (Marcello Mastroianni), pilota di una compagnia aerea e Philippe (Philippe Noiret) magistrato, decidono di trascorrere insieme un week-end nella villa di Philippe fuori Parigi, dove un tempo soggiornò Boileau. Una maestra, Andrea (Andrea Ferreol), chiede loro di poter mostrare alla scolaresca il tiglio dove grande poeta francese del Seicento componeva i suoi versi ed è prontamente invitata a cena. I quattro amici, decisi a trascorrere il week-end, mangiando, hanno chiesto al fido Ettore (Henri Piccoli), custode della villa, di dotare la cucina di ogni ben di Dio. Ugo è l’addetto alla cucina e Philippe, l’aiuto cuoco. Marcello, intanto, per rendere più frizzante il loro soggiorno in villa, ha invitato tre prostitute Anna (Florence Giorgetti), Danielle (Solange Blondeau) e Madeleine (Monique Chaumette). Il clima diventa subito festoso e, mentre Philippe fa coppia con Andrea, Marcello scopre che nel garage c’è una vecchia Bugatti e s’industria per farla partire. Le tre ragazze disinibite e sfrontate, non disdegnano di mostrarsi nude e assecondare i più reconditi desideri di Ugo, Michel e Marcello, ma, ben presto le tre abbandonano la villa, stufe di essere costrette a continuamente a mangiare e vedere i quattro amici che ingurgitano ogni tipo di cibo. La materna e dolce Andrea rimane al loro fianco e, avendo compreso che i quattro amici hanno deciso di portare a termine il progetto di mangiare fino a morire, non solo non prova a distoglierli dai loro propositi, ma procura loro un po’ di piacere, concedendosi a ognuno di loro. Marcello muore nella Bugatti, e in successione dopo Michel, Ugo e Philippe.
Ennesimo film scandalo del visionario e anarchico Ferreri, coadiuvato in sede di sceneggiatura dall’inseparabile Rafael Azcona e, per i dialoghi da Francis Blanche, che, con questa commedia nera, apocalittica e nichilista, scatenò un putiferio per aver messo in campo quattro personaggi che per tutta la vicenda s’ingozzano di cibo, fino a morire. Il regista milanese punteggia i dialoghi con le flatulenze che affiggono i protagonisti della vicenda e, non pago, in una scena mostra che da un bagno della villa esploda un mare di letame. Per quanto, sin dalle prime battute, s’intuisca il folle disegno dei protagonisti, per tutto il film s’immagina che i quattro possano cambiare idea e che il loro progetto autodistruttivo sia solo una burla. Invece, la forza del film è nel mostrarli come gli emblemi della società capitalistica, ingorda e opulenta, che finirà, inevitabilmente, per implodere su se stessa e disintegrarsi.
Mastroianni è un magnifico seduttore, Piccoli come sempre, elegante e introverso, Noiret, tenero e melanconico, e Tognazzi svolazza tra i fornelli che è un piacere. A lui Ferreri regala a lui la morte più emblematica; spirerà mentre Andrea lo masturba e Philippe lo imbocca di cibo. Al di là della trama in film intriga ancora oggi per la modalità assolutamente anarchica con la quale Ferreri diresse gli attori. Piccoli affermò: “Ferreri non dirigeva gli attori, diceva solo: “E’ pronto? Motore! Andiamo!”. Lui spiegava mai niente. Noi conoscevamo le follie, i pensieri straordinari di Marco Ferreri e tutti eravamo pronti a fare tutto ciò che lui domandava. C’era una sorta di intimità segreta tra noi quattro, ma segreta, nessuna spiegazione, nessuna psicologia, niente, solo: “Sii folle come hai voglia di esserlo”. Ecco, è questo che voleva dire, ma sempre con un grande rigore morale”.
Gli fece eco anche Tognazzi, che dichiarò: “Ne La grande abbuffata abbiamo anche improvvisato, collaborando, non lottando, non contrastandoci. Ognuno di noi poi aveva i suoi impegni di lavoro che lo aspettavano. Così Ferreri lo faceva morire e lo lasciava libero. Non si trattava di recitare, si viveva la solitudine. Il primo ad andarsene è stato Mastroianni, poi è andato Piccoli, quando è toccato a me, Noiret era addirittura impressionato. “Non morire, mi ha detto, io ho paura”. Ferreri riesce in simili giochi di prestigio. Lui non ti fa rifare mai una scena. Se la scena non ti è riuscita, sa dove tagliare e ricucire. Ma è difficile che una scena non ti riesca con lui.” Lo stesso regista milanese affermò: “Sul set non sono un dittatore. Non mi importa se dicono le mie frasi. Tognazzi, durante La grande abbuffata è andato avanti un quarto d’ora con Andrea Ferreol che faceva la maestra a trattarla da puttana. Poi un giorno gli dissi:“Ma cosa continui a trattarla da puttana? E’ una maestra.” E lui: “Ma io ho letto un primo trattamento dove si parlava di una puttana.” E io: “Ma quello è cambiato. Non hai letto la sceneggiatura?” E lui No.” Un’ultima curiosità: nel ruolo di Hector, il papà di Michel Piccoli.
di Ignazio Senatore