La frode

Opera prima dello sceneggiatore Nicholas Jarecki, è film sulla finanza spregiudicata, su di un mondo in cui il denaro è tutto o quasi ma in cui è possibile creare enormi truffe informatiche. Il protagonista è un sessantenne di successo che cerca di vendere la sua azienda per rifarsi di un’enorme perdita a causa di acquisto di una miniera di rame. Con un prestito segreto copre il buco, vende e torna alla sua vita di sempre. Ma la figlia ha scoperto l’inghippo ed è delusa, mentre la moglie praticamente lo ricatta.

Trentatreenne, nativo di New York dove il film è stato girato ed ambientato, Nicholas Jarecki è un buon autore di documentari con i due fratellastri Andrew ed Eugene registi di buon mestiere.
Jarecki ha realizzato un film indipendente girato in 31 giorni che si occupa del mondo della finanza in cui lui ha realmente vissuto, essendo il padre un importante manager del settore.
La sua regia è sommessa; non giudica i suoi personaggi, non parteggia per alcuno; lascia che sviluppino le proprie identità all’interno della sceneggiatura che lui ha scritto. La sua esperienza nel documentario gli ha permesso questo distacco assolutamente positivo, non influenzando nel giudizio lo spettatore.

Robert Miller è un uomo stimato, mecenate attraverso una Fondazione presieduta dalla moglie con cui ha condiviso l’ascesa dalle tavole calde da 2 dollari a pasto fino ai fasti di una Manhattan da fiaba. Lo troviamo a bordo del suo jet privato assieme ai più stretti collaboratori al ritorno da un incontro in cui avrebbe dovuto vendere l’azienda ad una banca d’affari. Recita la parte di chi vuole ritirarsi dagli affari perché vuole fare il nonno, godersi i due figli, stare più vicino alla moglie. Tutto credibile se non fosse una parvenza di normalità portata avanti con bravura ma anche con disperazione perché rischia la bancarotta a causa di un ammanco di 420 milioni di dollari dovuto al malaugurato acquisto di una miniera di rame in Russia sicuramente molto ricca ma da cui non può esportare all’estero quanto estratto.

Come succede davvero in questo mondo di intoccabili, trova chi è disposto a dargli i soldi per un paio di settimane per ripianare in maniera fittizia il buco, il controllo dei revisori è positivo, ma l’acquirente temporeggia: per lui si avvicina sempre più il rischio della rovina e di una detenzione di 20 anni per i falsi in bilancio creati. Ma non è l’unica cosa che gli va male in quel giorno in cui compie 60 anni: la sua bella amante francese, gallerista che lui finanzia generosamente ed a cui la sua società paga anche l’affitto, non sopporta i suoi continui ritardi, forse lo vorrebbe piantare. Per cercare di conservare questo rapporto a cui tiene molto, decide di portarla subito in uno chalet al mare guidando lui la Mercedes della donna: un colpo di sonno, grave incidente e lei muore. Da questo momento il film ha tutti gli elementi per sviluppare la storia in cui si inseriranno ulteriori varianti più o meno a sorpresa.

Il finanziere inizia a combattere non solo per salvarsi dal crac ma per evitare un’accusa di omicidio. Alle sue costole si pone un detective molto smaliziato che ha i giusti appoggi per cercare più di distruggere l’uomo che non di dimostrare la sua colpevolezza. Giudici, pubblici ministeri, colleghi che lo aiutano (o non lo ostacolano) nella creazione di prove false. Ad un certo momento, il rischio per lo spettatore è di tifare per il cattivo perché, forse, lo è meno dei buoni. Lui tutto sommato rende molte persone felici, dai ben stipendiati dipendenti ai familiari che vivono nel lusso, dai risparmiatori a cui ha dato (almeno fino a quel momento) buoni interessi ad ospedali che ricevono assegni da due milioni di dollari.

Ben diverso dal bilioso poliziotto che sembra avere come unico scopo quello di distruggere i ricchi, che non esita a servirsi del figlio pregiudicato del ex autista del milionario per cercare con il dolo prove contro di lui. Ad un certo punto, l’indiziatissimo riccone vorrebbe costituirsi per salvare il ragazzo, ma la sua furbizia gli fa capire tante cose e gli permette di risalire velocemente la china.

Se si dovesse trovare nel film un elemento che accomuna tutti, compreso la moglie del finanziere, è proprio la furbizia: non l’onestà, l’intelligenza, il potere. Chi ne ha di più vince indipendentemente dai suoi meriti e demeriti. Richard Gere è molto convincente e riesce a fare amare, fin troppo, questo personaggio negativo. Del resto, con tutti gli incidenti di percorso che la sceneggiatura gli impone, può venire spontaneo tifare per lui.

Phisique du role perfetto, Gere seduce gli spettatori, li porta dalla sua parte senza troppi problemi pur sapendo dalle prime battute che lui è un vero filibustiere. Un viso liscio e sorridente all’inizio che pian piano acquisisce rughe fino a divenire una maschera che non troverà mai più il vero sorriso. Una prova valida di un attore che è innegabilmente migliorato nel corso degli anni.

Tim Roth è il detective che non ha fatto carriera, accidioso contro tutti ma, forse, principalmente con se stesso. E’ funzionale ma, nello stesso tempo, non troppo diverso da quello di tarantiniana memoria. Vestito male come un Tenente Colombo di serie B, gioca sporco per trovare prove che non ha e, così facendo, agevola chi vorrebbe punire.

Susan Sarandon è la moglie di Gere. Al suo personaggio sono concesse poche battute ma tutte molto importanti ed è lei la chiave di volta della storia del marito, da sposini pieni solo di speranze al suo ruolo da first lady che sa dominare tutti, compreso l’uomo. Laetitia Casta si doppia da sola con un raffinato italiano con cadenza francese. Si concede in lingerie nera abbastanza casta, conquista con la bellezza del suo viso. E’ un personaggio chiave ma non certo difficile da interpretare. Per delineare meglio le caratteristiche la regia la aiuta sottolineando l’incontro con Gere con un bellissimo brano interpretato da Joao Gilberto e Stan Getz, il percorso che terminerà con l’incidente con Bessie Smith che interpreta “Just One More Chance”.

Brit Marling è la figlia del magnate, capisce tutto dell’inghippo, si dice sia un buon manager e una buona madre, ma sullo schermo passa senza lasciare traccia. Il film, profondamente voluto da Nicholas Jarecki, ha avuto una vita travagliata. Originariamente il protagonista doveva essere Al Pacino, che poi è stato magistralmente sostituito da Richard Gere. Laetitia Casta ha sostituito Eva Green che all’ultimo ha preferito accettare di lavorare in Dark Shadows di Tim Burton.

Girato nell’aprile 2011 viene presentato nel gennaio 2012 al Sundance Film Festival ma il primo trailer esce a giugno e nei cinema statunitensi il film viene presentato a metà settembre. Gli incassi non sono straordinari A Karlovy Vary Susan Sarandon si era espressa proprio sulla difficoltà non tanto di produrre un film ma di riuscire a distribuirlo dicendo che il vero incubo era non tanto di non trovare da lavorare con buone sceneggiature e validi registi ma che alla fine il lavoro non sia visto da nessuno.

TRAMA

Un “self made man” di grande successo sta per compiere 60 anni attorniato da collaboratori che lo stimano e familiari che lo adorano. Ma non è tutto come sembra perché la sua azienda ha un buco di oltre 400 milioni di dollari dovuto ad investimento sbagliato su acquisto di miniera di rame. La figlia che controlla i fondi dell’azienda non ha dubbi perché il padre si è fatto imprestare il denaro per coprire il buco e potere vendere a banca statale. Tutto apposto se andando con la sua amante in auto non avesse incidente in cui la donna muore. Si fa aiutare dal figlio di suo ex autista, sembra che riesca a sfuggire ad ogni controllo ma c’è un detective particolarmente insistente. La figlia inizia a dubitare, la moglie anche ma tutto si sistema con un ‘accordo privato’.


di Redazione
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