La finestra di fronte

la finestra di fronte

la finestra di fronteCi si può smarrire per un vuoto di memoria ma anche per abitudine, distrazione, stanchezza, disamore. E lo smarrimento esistenziale – la fatica dei figli da crescere, così come l’infelicità di un lavoro precario che mortifica, come la rinuncia alla propria identità o ad un amore possibile – significa spesso sopravvivere, rinunciare alla parte migliore o semplicemente più vera di se stessi. E’ un pericolo che si combatte solo coltivando l’esercizio della memoria, ma soprattutto trovando il coraggio di guardare fino in fondo la realtà: a volte basta la finestra di fronte, come dice l’ultimo film di Ferzan Ozpetek.

Tutti i personaggi di La finestra di fronte sono in questo senso alla ricerca di se stessi. Ma non lo sanno. Giovanna fa la contabile in una piccola azienda che confeziona polli, è intimamente infelice e l’unica trasgressione che si concede è spiare un giovane dirimpettaio. Filippo, suo marito, si deve accontentare di un lavoro di notte che gli consente di andare a letto con la moglie una volta a settimana. Sono così stanchi e distratti che quasi non si parlano più, litigano soltanto. Un giorno incrociano per caso un vecchio signore (uno straordinario Massimo Girotti, qui alla sua ultima interpretazione) che s’aggira smemorato per Roma. Loro hanno così tanti problemi che potrebbero tranquillamente lasciarlo andare per la sua strada, ma qualcosa li spinge a non farlo, li costringe ad ascoltarlo, a guardare nel suo passato. E’ un punto di snodo che serve a riportare alla luce amori proibiti, un omicidio e sacrifici che risalgono addirittura al 16 ottobre 1943, quando a Roma i nazifascisti rastrellarono gli ebrei del Ghetto. Ma per Giovanna e Filippo, quella storia, quella ricerca, sono anche l’occasione per fare il punto sulla loro vita. E magari ricominciare.

Se in La finestra sul cortile di Alfred HitchcockJames Stewart si limitava a guardare la vita “altra” dei vicini di casa, nel film di Ozpetek la situazione viene esattamente ribaltata e la protagonista riesce a vedere inquadrata, dall’appartamento del vicino, la sua finestra, la sua vita. Ed è con quella realtà che dovrà fare i conti, come l’invita a fare il vecchio smemorato ritornato in sé: appunto il coraggio di guardare, scegliere di vivere e non più sopravvivere.

L’idea cinematografica di Ozpetek è di coniugare stilisticamente, senza soluzione di continuità, il melò e la detection, i fantasmi del passato e le distrazioni del presente. Dal clima di violenza e prevaricazione del fascismo alla società caotica e multirazziale del presente, i veleni sono comunque pronti ad esplodere. A prevalere sembra essere sempre la rinuncia e l’infelicità.

Piero Spila

La difficoltà del vivere quotidiano

La finestra di fronte di Ferzan Ozpetek affronta, come Ricordati di me di Muccino e La felicità non costa niente di Calopresti, un tema universale e ineludibile: la difficoltà e la ripetitività del vivere quotidiano rispetto ai sogni e alle aspettative giovanili, individuali e di coppia.
In altri termini: è possibile coniugare stabilità e felicità? O il matrimonio e il posto fisso costituiscono la fine di qualsiasi ricerca autentica e profonda di senso per le nostre esistenze?
Se Muccino, con un certo cinismo, sembra suggerire che non resta che adattarci ai modelli dominanti e Calopresti si concentra, essenzialmente, sul lato positivo del caos della crisi, Ozpetek stupisce con un finale conciliante e, per qualche verso, conservatore.

La sua Giovanna (Giovanna Mezzogiorno) rinuncia, infatti, alla passione e torna con il marito e con i figli: in realtà, dopo l’incontro con Lorenzo (Raoul Bova) e, soprattutto, con Davide (Massimo Girotti), la sua vita non sarà più la stessa.
Giovanna ha imparato, grazie al misterioso Vecchio, a non cancellare i desideri e a non accontentarsi di “trasformare le passioni in un hobby”.
La morale di La finestra di fronte è, allora, la più “ragionevole” possibile: Ozpetek esorta a non sacrificare se stessi e i propri bisogni ma, senza per questo, buttare all’aria quello che si è precedentemente costruito.

Insomma, paradossalmente, il messaggio più rassicurante e tradizionale viene proprio da un regista comunemente considerato fuori dagli schemi e dagli stereotipi. Al di là di questo aspetto, più o meno condivisibile, la forza e l’intensità del film risiedono nella recitazione: Massimo Girotti, nei panni dell’anziano devastato da profondi sensi di colpa per quanto avvenuto la notte del 16 ottobre 1943, quando i nazisti rastrellarono gli ebrei romani e li portarono nei campi di concentramento, è veramente straordinario.
Giovanna Mezzogiorno si rivela alla sua altezza e, insieme, ci regalano una delle sequenze più belle e significative: quella in cui, con grande cura, preparano dolci colorati, delizia per gli occhi e per il cuore. In fondo, come canta Nada, “basterebbe una carezza…”

Mariella Cruciani


di Piero Spila
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