La Bête
La recensione di La Bête, di Bertrand Bonello, a cura di Cristiana Paternò.
La bête ovvero la bestia. Sarà quel piccione foriero di sventura e di morte che si introduce negli appartamenti sbattendo le ali impazzito o fissando gli esseri umani immobile e catatonico? O saranno le contorsioni del nostro intimo, che ci impediscono di amare, che non ci liberano e ci condannano all’eterno ritorno dell’identico. Il prolifico e geniale autore francese Bertrand Bonello – di cui abbiamo appena visto in sala, questa estate, Coma – ha la capacità straordinaria di costruire labirinti mentali in cui perdersi e ritrovarsi. Sono opere di cui abbiamo un immenso bisogno, opere che ci aiutano a orientarci nella contemporaneità, che riflettono sul linguaggio delle immagini, sulla tecnologia e le sue derive.
Il film, significativamente, si apre con la protagonista Léa Seydoux chiamata dalla voce del regista a recitare contro un green screen una scena di paura in cui manca del tutto la minaccia, perfetta metafora di un’angoscia essenzialmente interna al soggetto. Quindi la ritroviamo insieme al britannico George MacKay (visto in 1917, ha preso il posto dello scomparso Gaspard Ulliel a cui il film è dedicato), in una festa ai primi del Novecento, dove i due si ritrovano e si riconoscono, questo è lo spunto tratto dal racconto La bestia nella giungla di Henry James. Ma le epoche si moltiplicano. Siamo in un futuro prossimo (2044) in cui le emozioni sono considerate nocive e vanno azzerate: Gabrielle deve purificare il suo subconscio mettendo ordine in tutte le sue vite passate. Eccoci ora nella Los Angeles del 2014, Gabrielle, aspirante attrice, sorveglia una villa attraversata da lynchiane inquietudini, Louis è diventato un uomo violento che affida a YouTube la sua acredine verso le donne.
In ognuna di queste esistenze Louis e Gabrielle si imbattono nel loro grande amore mai consumato senza riuscire a comunicare. È Gabrielle a portare con sé il (pre)sentimento di una catastrofe imminente, rappresentata appunto da quel piccione che si introduce nella sua casa, Louis attraversa il tempo inconsapevole.
Tra computer e videocamere di sorveglianza (classiche ossessioni di Bonello), ma anche immagini della Parigi alluvionata nel 1910 con una fabbrica di bambole di celluloide che viene prima allagata e poi prende fuoco in una scena memorabile, ecco una veggente Belle Epoque e una maga online. Ecco il terremoto di Los Angeles e gli agguati dei virus informatici, ecco l’intelligenza artificiale che pretende di normalizzare le nostre emozioni.
di Redazione