Killing me softly

Che cosa possiamo attenderci da un regista cinese che gira un film a Londra con denaro americano, cosa che abbiamo già visto fare anche al neozelandese Lee Tamahori e a molti altri?
Forse semplicemente l’assimilazione dei codici hollywoodiani più convenzionali. Ma a Tamahori, tutto sommato, era andata meglio. Kaige da parte sua invece sceglie una storia sbagliata, pretestuosa, con dialoghi risibili e attori insignificanti. Tutto fa supporre a un lavoro su commissione.
Il film comincia con una storia di amor fou sessuale e finisce come un vacuo “abuse film”. Partiamo pure dall’elemento sessuale. Tanto più esso si sforza di mostrare, quanto più lo sappiamo essere falso; lo è infatti sia la nudità ostentata dei due protagonisti, castigata, ma al momento giusto (il principio è che il personaggio non vede ciò che invece lo spettatore non può e non deve vedere), sia il contesto in cui si manifesta e ancor più il linguaggio filmico, che lascia supporre che per Kaige e per il novantotto per cento dei cineasti nordamericani la realtà sia solo un banalissimo luogo comune elevato a sistema di segni e di codici da cui sempre più di rado si è sottratti. Qui infatti non c’è la minima traccia dello stile del cineasta di Una vita appesa a un filo. Tutto appare veramente falso, dal presunto sadismo erotico del protagonista scalatore, che risulta più un pericoloso segnale patologico che un semplice stato mentale, alla messinscena del crimine commesso sulla neve da parte della sorella dello scalatore e alle sue motivazioni di natura incestuosa.
Perfino il meccanismo narrativo che accompagna il progressivo sgretolamento dell’amour fou della protagonista (si badi non solamente sessuale) risulta quanto meno discendere dalla più corriva routine del thriller americano con finale a sorpresa (non lo scalatore, amante passionale, l’assassino, ma la sorella gelosa, e la sceneggiatura gioca, come è ovvio, sul depistaggio dello spettatore).
Si badi però che qui la logica narrativa è perversamente funzionale alla battuta finale, pronunciata da un’Alicia (la protagonista) più che mai spaesata che allude hollywoodianamente ad un amore così indescrivibile che niente avrebbe potuto bastare ad esprimerlo….
In questa pratica consolatoria per fanciulle inesperte il monito è quasi sempre il seguente: non fidatevi mai degli sconosciuti!….
di Maurizio Fantoni Minnella