Kill Bill – Volume 2

kill bill volume 2

kill bill volume 2Kill Bill sembra situarsi tra la potenza e l’atto, tra l’azione e la riflessione, tra la mappatura e l’esplorazione. Cosa c’è insomma tra l’invenzione e l’esecuzione, tra teoria e pratica, tra l’immaginazione e la ripetizione? La simulazione. Ma Tarantino, come Grande Simulatore, è anche innanzitutto uno Sperimentatore, e appartiene certo alla cerchia dei grandi sperimentatori contemporanei. In questo senso il cinema di Tarantino è, più che ripetitivo, rifondativo, il già-visto funziona come meccanismo per uno sguardo che vuole guardare oltre e dappertutto (iper). Così Tarantino, il simulatore, sperimenta di continuo nei suoi film-laboratorio, e ciò che sottopone ad esperienza sono in primis proprio le immagini e i suoni, che escono dalla loro prematura cadaverizzazione con la forza di ciò che ‘possono fare’. Come Uma Thurman dalla sua sepoltura: il limite è lo schermo, non la terra, né le pallottole e nemmeno la morte. Anzi la prima cosa che Tarantino sembra sperimentare è proprio la morte: ciò che muore- cadendo in pellicola- vive al suo interno in una dimensione in cui non c’è morte (like Fulci’s zombies…).

Un film ‘a pelle’, e la pelle è proprio lo schermo, nero, quando la Thurman si trova sepolta viva… morte del cinema? No, si sente ansimare, si accende la torcia, la macchina da presa, sepolta, esclusa al mondo, può ancora filmare- per quanto tempo? Si tratta di un’illusione, una simulazione, una sperimentazione… a questo punto, invece di intervenire una circostanza adiuvante realistica, interna a quel piano di rappresentazione, verosimile, ad intervenire è la memoria, che si connota fortemente come consapevolezza di sé e volontà di potenza. Ma se il personaggio recupera in questo modo le proprie potenzialità, la propria forza, attraverso l’immagine, d’altra parte è l’immagine stessa a recuperarle attraverso il personaggio. I suoi ricordi personali attivano la memoria-film che innesca la memoria-cinema, destratificando il piano di consistenza del visibile- volontà di potenza del cinema- proprio mentre stratifica quello narrativo, intrecciandovi la storia di Bill e del maestro di kung-fu.

Così la memoria-film, una memoria inconscia rispetto a quella dei personaggi, della storia, della rappresentazione, un non-luogo in cui tutto coesiste, affonda a sua volta nella dimensione dell’inconscio collettivo della memoria-cinema: “Io stesso, proprio in virtù di questo grande amore universale per il cinema, non mi considero un cineasta americano, ma un regista che fa i film per l’intero Pianeta Terra”.
In questo modo per Tarantino è proprio l’aderenza ai codici di genere, rappresentati con uno scrupolo maniacale, a consentirgli una straordinaria autonomia a tutti i livelli. Mentre segue con puntiglio tutti i momenti canonici e i topoi di genere, attua nel contempo una transcodificazione che investe retrospettivamente ma puntualmente il film nel suo rigoroso ingranaggio. Una sorta di metariflessione che rende il già-visto un esperimento sempre nuovo, e che si rivela quando, attraverso l’ironia, passa da un piano di consistenza del visibile ad un altro. In Tarantino insomma la transcodificazione è sempre ironica, anzi è l’ironia stessa, che interviene criticamente (come un lampo intermittente di esplicita consapevolezza) quando c’è il passaggio da un piano di consistenza troppo saturo, gonfiato, carico, ad un altro.
Agganciare il significante al già-visto sottoponendolo ad un continuo laboratorio- reiterarlo, variarlo, destratificarlo, dilatarlo, etc.- e sfruttare il piano dei significati per attuare la transcodificazione di senso. Questa ironica consapevolezza è cellulare e onnipervasiva nel film, ma sempre di passaggio, è l’alter-ego di personaggi nati “già col costume”, interamente finzionali, presi sin dall’inizio all’interno della rete filmica- d’altronde questa è una storia di supereroi, solo che qui si tratta di gangster e killer: natural born killers.


di Daniele Guastella
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