Joe
Presentato in concorso alla 70. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film diretto da David Gordon Green ha incassato giudizi molto dissimili poiché si mostra imperfetto pur denotando vari momenti sicuramente interessanti che possono permetterci di valutarlo anche in maniera positiva.
Il lungometraggio è diviso in due parti assolutamente antitetiche tra loro. Nella prima si costruisce quella che potrebbe essere una storia interessante e a tratti originale, grazie alle vicende di individui che si uniscono tra loro nel loro percorso esistenziale. Poi il regista inizia a perdere il controllo della materia, abbandonando l’efficace costruzione narrativa per scivolare all’interno di diversi modi di raccontare non privilegiandone alcuno.
Quindi vediamo: rapporti umani difficili ma belli con la squadra di boscaioli capeggiati da Joe, scontri dell’uomo con delinquenti privi di morale, relazione intensa col ragazzino che lui da poco ha assunto, odio nei confronti del padre del giovane che forse gli ricorda come poteva essere il suo, incapacità di vivere un’esistenza normale e la ricerca dell’amore che gli possono donare prostitute (che per lui sono compagne di vita e che gli permettono di non dimenticarsi di essere una persona). E poi il grande affetto per la sua cagna di quaranta chili che all’occorrenza diviene assassina.
Nelle sue quasi due ore, il film alterna vari momenti di voluta lentezza ad altri in cui l’azione sembra dominare su ogni cosa. La chimica funziona raramente, offrendo la dimostrazione che un prodotto forse troppo studiato a tavolino difficilmente riesce ad ottenere caratteristiche di vero interesse.
David Gordon Green mette momentaneamente da parte il cinema leggero abbracciato negli ultimi anni di cui si ricordano il riuscito Strafumato (Pineapple Express, 2008) ma anche i mediocri Sua Maestà (Your Highness, 2011) e Lo spaventapassere (The Sitter, 2011), tornando a confrontarsi con le storie dolorose e intime che aveva raccontato all’inizio della sua carriera. Il passaggio logico verso questo film l’ha avuto con Prince Avalanche (2011) mai distribuito in Italia. Agli esordi, il suo era un cinema indipendente fatto soprattutto di drammi umani. E’ da ricordare, a tal proposito, Undertow (2004) in cui dimostrava un forte interesse per le persone piene di problemi esistenziali. La sua ultima fatica, Manglehorn (2014) film interpretato da Al Pacino e presentato quest’anno a Venezia, è una conferma del suo desiderio di tornare a temi drammatici.
Per Joe gli è stato messo a disposizione Nicholas Cage che appariva perfetto per il protagonista con quelle caratteristiche di antipatia presenti in quasi tutti i personaggi da lui interpretati; ma proprio il nipote di Francis Ford Coppola è quello che meno funziona.
Tratta dal romanzo omonimo scritto da Larry Brown oltre venti anni orsono, l’opera è basata su una storia dura che racconta di un mondo brutto, violento, spietato in cui i protagonisti accettano il loro destino di reietti senza tentare di vincere il destino. Ma è anche il tentativo, forse non troppo convinto, di un uomo che cerca una seconda possibilità per redimersi, per potersi trasformare in una persona accettata (anche da se stesso). Il boscaiolo vede nel ragazzo la possibilità di redenzione, lo tratta come il figlio che non ha mai avuto, cerca di aiutarlo nel lavoro e nella vita, è determinante nell’evitargli di divenire uno sbandato come lui.
Il ragazzo, che ha sempre avuto un padre padrone che lo considera solo se e quando può essere a lui utile, accetta di essere da lui massacrato e non reagisce, fino a quando non scopre che la sorellina, muta per un trauma probabilmente sessuale, è stata venduta per 30 dollari a testa ai due delinquenti nemici di Joe. In quel momento si sviluppa il dramma di cui si può immaginare la conclusione e in cui l’espressività di Cage non aiuta il personaggio.
Queste sono forse le immagini meno belle e convincenti, con un dramma che coinvolge tutti i protagonisti, compreso il ragazzino, la sorella e il padre. Poco delineate le figure dei boscaioli che accettano di avvelenare piante per poi permettere di sostituirle con pini sicuramente più redditizi. Vi sono anche due poliziotti, uno molto umano e l’altro fin troppo ligio a fare rispettare il codice; sono rispettivamente amico e nemico dell’ex detenuto, ma di loro rimane soltanto l’esteriorità dei volti e un paio di battute che non lasciano traccia
Il trentaseienne regista texano dimostra, comunque, buona professionalità. Gli manca un po’ di coraggio e uno stile veramente suo per riuscire a imporsi anche nel drammatico.
Nicholas Cage, le rare volte che negli ultimi anni gli vengono offerti personaggi con buon spessore, esagera nel caricarli di caratterizzazioni in una interpretazione sempre sopra le righe. Il suo apparire ubriaco, ad esempio, è sempre un po’ troppo alticcio, mentre le sopracciglia quando è nei momenti di bontà si inarcano tanto da fare capire a tutti quanta umanità circola in Joe.
È sicuramente una delle sue migliori prove degli ultimi anni ma condizionato dalla incapacità di lavorare più per il film che non per se stesso.
Green dà l’impressione di averlo lasciato libero nella costruzione del personaggio, e questo potrebbe essere giustificato se Cage avesse la maturità per porre limiti a una recitazione che, invece, si scontra con l’essenzialità narrativa di Joe.
Gary “Ozzy” Power, interprete del difficile personaggio del padre del ragazzo, era un vagabondo di cinquantatre anni che David Gordon Green aveva giustamente considerato adatto per interpretare un uomo senza moralità. Forse in parte gli assomigliava, quantomeno per la dipendenza dal alcool. È morto annegato un paio di mesi dopo che era stato finito di girare il film.
Una conferma la si ha nella prova del diciassettenne Tye Sheridan, qui bravissimo come in Mud (2013) di Jeff Nichols. Equilibrato, naturale, credibile dona al suo personaggio, di perdente senza colpa, notevole forza.
Il ventisettenne operatore Andrew Dallas è morto in un incendio durante i primi giorni di riprese: un film che, oltre a questi due tragici eventi, ha avuto molti problemi durante le riprese per la violenta forza della natura in cui era ambientato.
di Redazione