Jane Eyre

L’ennesima trasposizione cinematografica del classico di Charlotte Bronte viene affidata a Cary Fukunaga, regista “giovane” alla sua seconda prova dopo Sin Nombre, autore di una rilettura che nelle interviste era stata annunciata come moderna e più cupa e rispetto alle precedenti.
La trama originale – la vicenda di una giovane governante idealista che dopo una vita di tragedie affettive si innamora, ricambiata, del suo tenebroso e nobile datore di lavoro – non risulta alterata né tradita: nella cornice di un’Inghilterra vittoriana di campagna viene messo in scena tutto il furor femminista che il pubblico si aspetta, ma la modernità tanto sbandierata dimostra di avere un suo prezzo.

L’audace montaggio scombussola la struttura narrativa del libro con un flash forward iniziale (Jane, in fuga da Thornfield e sul punto di morire di inedia, trova riparo presso la casa di St. John Rivers), nel quale viene incastrato un approssimativo flashback a cui viene affidato l’ingrato compito di sintetizzare l’infanzia della protagonista. Il percorso di privazione degli affetti e di feroce pedagogia a cui la futura governante viene sottoposta si avvale (come tutto il resto del film) di una fotografia satura di toni scuri ma calzante, tuttavia la scelta di condensare i vari episodi dell’infanzia in un unico blocco compatto, a cavallo tra presente e passato prossimo, dà la sensazione di assistere a qualcosa di raffazzonato. Disorientante, a questo proposito, la scelta registica di presentare una Jane adulta per la seconda volta, di nuovo come se fosse la prima, all’uscita dal tetro collegio nel quale è stata educata.

Da questo momento in poi i canoni cronologici si stabilizzano, la storia riprende dall’arrivo di Jane a Thornfield, per scorrere fluida fino all’incontro con Rochester e al complesso magnetismo che si instaura tra di loro. I dialoghi sono asciutti ed efficaci e la recitazione riesce nell’intento di valorizzarli (soprattutto quella di Mia Wasikowska, intensa e priva di patetismi), purtroppo però l’insieme di questi due elementi non basta a rendere interessante una storia d’amore già annunciata, e per di più già servita al pubblico, nel corso degli anni, in tutte le salse possibili.

La macchina da presa è statica, poco vivace, e si sofferma sulla fisicità degli attori dilatando i tempi, restringendo gli spazi. L’ uso della luce è parsimonioso. Pochi i guizzi, a parte un’inquadratura iniziale di Jane vista dall’alto, esitante al centro di un bivio ma pronta ad andare incontro al suo destino. L’occhio della camera è incentrato sempre sulla protagonista: tutto ciò che sa è ciò che la protagonista vede, ma questa scelta a tratti fa cadere la pellicola in una monotonia che rende soporifere persino le “tenebre” di Rochester. Il tormento del co-protagonista ne esce infatti sminuito a livello contenutistico: nel romanzo la figura di Bertha Mason è quasi un alter ego distorto di Jane, l’incarnazione di un fiero spirito femminile allo stato brado, represso, segregato e quindi portato all’esasperazione dalla soffocante visione del ruolo della donna nell’era vittoriana. Nel film invece questo aspetto non viene sottolineato a sufficienza e anzi risulta trattato come un semplice ostacolo, per quanto tragico: uno scoglio contro il quale l’educazione sentimentale di Jane si scontra, portandola a deviare, seppur momentaneamente, il suo percorso.

Nonostante una sorprendente Wasikowska (che brilla di luce propria rispetto al film) e la buona prova di Michael Fassbender, a spiccare su tutti è Judi Dench nei panni di Mrs Fairfax,  l’unica in grado di dare risalto alla scena con la sua sola presenza e, ancora, l’unica a concedere al pubblico sporadici ma sorprendenti tocchi di commedia che in mano a chiunque altra sarebbero passati inosservati, nella vaga monotonia di cui l film è pervaso.

Nel complesso si può dire che Jane Eyre sia un tentativo onesto ma non perfettamente riuscito di raccontare una storia in maniera più originale degli innumerevoli predecessori.  In realtà, è un vero peccato che questa riproposizione non dica niente di nuovo, perché stavolta l’invitante confezione non era poi così vuota, al suo interno.

TRAMA

Nell’Inghilterra vittoriana una giovane e fiera governante dal tragico passato, segnato da soprusi e solitudine, accetta l’incarico di badare alla pupilla del nobile Rochester. L’incontro con il padrone di casa, uomo volubile e tormentato, le farà provare un’attrazione fino ad allora sconosciuta che, una volta ricambiata, le stravolgerà la vita, anche a causa dei misteri provenienti dal passato di lui.


di Redazione
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