Intimacy
In una Londra proletaria alla Kenneth Loach, magistralmente fotografata e colta come fondale chiassoso e anonimo, si consuma la vicenda (che in verità non ha un vero inizio) di un uomo e di una donna che ogni mercoledì alle due si incontrano solamente per fare l’amore. L’uomo, che è capo barman in un locale notturno, un giorno decide di seguirla per conoscere qualcosa di lei e si imbatte nel marito, goffa e rassegnata figura di taxista succube della moglie, attrice di teatro. Tra i due uomini si instaura un dialogo-confronto tra l’allusivo e l’assurdo sino all’inevitabile scoperta del tradimento da parte della donna, la quale a sua volta rifiuta nell’amante la volontà di conoscere, scegliendo di lasciarlo per sempre.
Chéreau riscrive la commedia amara della doppiezza del tradimento reiventandone la grammatica interiore, lasciando ai personaggi la libertà di compiere il proprio itinerario incompiuto né come amici, né come amanti, ma come figure (così vicine al romanzo moderno fenomenologico) intercambiabili di un gioco che non è più né il corpo a corpo disperato e solitario di Ultimo tango a Parigi, né tantomeno l’esercizio di simmetria erotica di Une liaison pornographique. Esso è infatti solo il fantasma di un atto erotico già vissuto.
Girato con una totale libertà linguistico-formale, che per taluni versi (l’uso della macchina a mano) richiama l’estetica del Dogma, il film di Chéreau sembra allontanarsi quasi programmaticamente dalle sontuosità barocche (dall’orgia del potere e del sangue) di La regina Margot (che tuttavia rifiutava qualsiasi tentazione classica o agiografica) per ritrovare le atmosfere e lo sguardo filmico sulla realtà contemporanea (e metropolitana) di L’homme blessé (1983), il suo secondo film. Ad una certa durezza espressiva corrisponde l’inadeguatezza dei personaggi a porre un ordine sentimentale alle proprie vite.
Più che essere giocato sulle virtù del corpo, il film suggerisce piuttosto la sottrazione di esso a quelle medesime virtù. La sessualità, intesa quasi come un enunciato, viene progressivamente negata da una sorta di interruzione sistematica che si colloca razionalmente tra lo psicodramma e una routine mimetica. Nel prediligere le asimmetrie, Chéreau compone un ritratto di sorprendente modernità e di un malinconico pessimismo. Non un’educazione sentimentale, dunque, piuttosto un viaggio a ritroso nella malattia della mediocrità famigliare quotidiana (esemplare in tal senso la sequenza rallentata in soggettiva del protagonista che raggiunge i suoi due bambini che giocano allegramente nella vasca da bagno; la natura stessa della soggettiva e il commento sonoro suggeriscono infatti una prospettiva di fatto opposta, minacciosa) e della solitudine in cui l’eros ha quasi la funzione di una trasgressione non voluta, perciò incompiuta e senza sbocchi; un erotismo che, in definitiva, si pone paradossalmente come la sola risposta possibile (per volontà della donna) al bisogno assoluto di comunicazione e di amore.
Chéreau, nel mostrare i corpi nudi, non arretra di fronte ad alcun atto e dettaglio, dimostrando di aver assimilato la grande lezione di un realismo morale, dove ogni gesto trova in sé la propria giustificazione contro ogni logica moralista e ipocrita.
di Maurizio Fantoni Minnella