Interstellar

Parte per mondi sconosciuti Cooper, l’astronauta protagonista di Interstellar, richiamato in servizio con la missione di salvare l’umanità trovando un pianeta alternativo a una Terra ormai invivibile. E lo spettatore si mette in viaggio con lui dentro un film ammaliante, maestoso, di ipnotica bellezza visiva e di potente respiro epico. Come l’avventura di Cooper è costellata di imprevisti, incidenti e di cose che non vanno come dovrebbero, così anche Interstellar ha le sue lungaggini, i suoi momenti difficoltosi, i suoi difetti: alcuni personaggi sono decisamente pleonastici (primo fra tutti quello della lagnosa scienziata affidata all’incolpevole Anne Hathaway), il tono si fa talvolta didascalico, i buchi neri si trovano non solo nello spazio ma qua e là anche nella sceneggiatura. Però a un film come Interstellar si può perdonare tutto questo. Perché nell’avventura che fa vivere a chi guarda c’è tanto, tantissimo di bello, di grandioso. Il passaggio attraverso il buco nero è una gioia per gli occhi e un’emozione vera, i paesaggi desolati degli inospitali pianeti visitati dagli astronauti hanno un fascino sinistro e memorabile, la misteriosa dimensione (fra gravità e tempo) in cui Cooper si muove verso la fine del film è resa con straordinaria efficacia e, sì, anche eleganza.

La parte visiva non deve però far dimenticare l’impianto complessivo del film e l’idea che ne è alla base, venata in fondo da ottimismo e financo di sentimentalismo (ma a nostro parere di quello buono di una volta). L’amore può salvare il mondo, ci dice Christopher Nolan (cosa insolita per lui), senza temere di apparire ingenuo o fuori moda, anzi ammiccando a un cinema tradizionale di forti sentimenti, grandi valori ed eroi tutto d’un pezzo (questo è Cooper, ottimamente interpretato da Matthew McConaughey). L’amore da solo, peraltro, non basta, ma deve essere abbinato a solide conoscenze scientifiche che prevedono la capacità di risolvere difficilissime equazioni (consulente e produttore esecutivo del film è il fisico Kip Thorne, le cui teorie sono alla base di Interstellar. E con l’amore per ciò che racconta, con la forza del suo cinema che riesce in questo caso a essere “intellettuale” e genuinamente spettacolare, Nolan riesce a vincere la sua scommessa e a condurre egregiamente in porto un film che presentava molteplici motivi di rischio, guardando più a Spielberg e Lucas che al Kubrick di 2001-Odissea nello spazio (a cui comunque paga un doveroso tributo).

Fra gli aspetti più riusciti di Interstellar c’è la rappresentazione del futuro prossimo venturo da cui prende le mosse la storia, certamente distopico, ma insolito e suggestivo, continuamente spazzato da tempeste di sabbia: un mondo (molto americano) in cui la tecnologia è in parte rifiutata, gli esseri umani si dedicano all’agricoltura per ovviare alla carenza di risorse alimentari (una piaga sta distruggendo tutti raccolti, a parte il mais), il programma spaziale è stato in apparenza accantonato e a scuola si insegna che lo sbarco sulla Luna è stato solo propaganda. Una visione originale, intelligente, amaramente ironica, ammiccante a tante tendenze della società soprattutto americana: un nuovo fondamentalismo “agricolo”, più inquietante della piaga di sapore biblico, sta portando l’umanità alla catastrofe. Per fortuna c’è sempre la scienza. E soprattutto l’amore.

TRAMA

La Terra sta esaurendo le proprie risorse e sta diventando un luogo inabitabile. Gli scienziati della Nasa cercano (in segreto) un nuovo pianeta destinato a ospitare il genere umano. Cooper, ex astronauta diventato agricoltore come la maggior parte degli abitanti della Terra, accetta di guidare una missione che potrebbe essere (anzi, è) l’ultima occasione per l’umanità. Parte a malincuore, lasciando i suoi figli, non sapendo se e quando li rivedrà. Sua figlia Murphy, che ha ereditato i suoi stessi interessi, non accetta la decisione del padre, ma continua a studiare, a sperimentare, a cercare risposte. E il dialogo a distanza con il genitore disperso nello spazio non si interrompe…


di Anna Parodi
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