In un altro paese

“In un altro paese, gli artefici di una tale vittoria sarebbero diventati eroi…” Così la voce fuori campo del rigoroso ed intenso documentario di Marco Turco dedicato alle figure di Falcone e Borsellino commenta il verdetto del maxiprocesso del 1987 che condannò, tra gli altri, Greco, Riina, Provenzano all’ergastolo.
In verità, quello che accadde dopo fu tutt’altro che un’affermazione definitiva dello Stato sulla mafia: Craxi e i radicali condussero, ben presto, una battaglia politica per la riforma, in senso garantista, della giustizia, Falcone, lasciato solo, fu persino accusato di essersi organizzato un finto attentato, Orlando cessò di essere sindaco di Palermo, Andreotti espresse pubblicamente il suo cordoglio per l’assassinio di Salvo Lima.
Alla morte di Lima, giustiziato in quanto si era rivelato incapace di aggiustare l’andamento del maxi-processo, fecero seguito le tragiche morti di Falcone e Borsellino. Si arrivò, poi, al processo Andreotti e, nel 2004, alla condanna in primo grado di Marcello Dell’Utri.
Il film documento di Marco Turco, già applaudito al Festival di Locarno e premiato al Festival dei popoli, è tratto dal libro del giornalista americano Alexander Stille “Excellent Cadavers: the mafia and the death of the first italian Republic” e ricostruisce in maniera puntuale e convincente la storia della mafia e dell’antimafia nel nostro paese.
Alexander Stille, nei panni di se stesso, costituisce nel documentario il filo rosso che unisce i fatti e tiene insieme la narrazione: ad accompagnarlo nell’inferno palermitano è la fotografa Letizia Battaglia che, di fronte al corpo straziato di Borsellino, si rifiuta, però, di fare il suo lavoro.
Ed è proprio alla storica fotografa della guerra di mafia che è affidata la battuta conclusiva del film: “Cosa devo aspettare?” – si chiede, prima di partire per Parigi, per sfuggire allo strazio che in Sicilia nulla è cambiato.
Marco Turco ha realizzato un’opera coraggiosa, mai retorica, senza traccia di fiction, ma ricca di verità e umanità, come dimostra la commovente e paradossale sequenza in cui Falcone spiega, con disarmante semplicità, ad una giornalista che i mafiosi sono, comunque, persone come noi: seri, meno seri, simpatici, antipatici…
di Mariella Cruciani