Il segreto dei suoi occhi

Il segreto dei suoi occhi, dell’argentino Juan José Campanella si è aggiudicato alcuni mesi fa il Premio Oscar 2010 per il Miglior Film Straniero. E non poteva essere altrimenti. Ci spieghiamo.
In lizza c’erano anche un titolo peruviano (chi scrive non l’ha visto) e tre lungometraggi di gran lunga superiori all’opera premiata: il capolavoro di Michael Haneke Il nastro bianco, la sconvolgente storia carceraria di Jacques Audiard Il profeta e lo scioccante e moderno lungometraggio del duo israelo-palestinese Yaron Shani/Scandar Copti Ajami.
Il fatto è che i tre titoli citati non rispondevano pienamente alle caratteristiche che l’organizzazione che “governa” il riconoscimento americano intende rintracciare nei lavori da premiare: scrittura cinematografica ammiccante, contenuti scontati, personaggi tagliati con l’accetta, retorica abbondante, risvolti strappalacrime, regia e fotografie leccate e prevedibili.

Ebbene, tali elementi erano invece ingredienti centrali proprio de Il segreto dei suoi occhi, una delle produzioni più ovvie e vacuamente raffinate che siano apparse negli ultimi anni nel panorama cinematografico mondiale.
La vicenda cardine sembra essere quella del belloccio e cocciuto funzionario di tribunale che si incaponisce per venticinque anni su un caso di stupro e assassinio terrificante, cercando di scoprire il colpevole (e lo scoprirà), ma così non è. A guardar bene, la vera trama, quella che lega avvenimenti che si svolgono a decenni di distanza, è un’altra: la narrazione dello svenevole e mieloso amore irrisolto e impossibile tra il personaggio già citato e il suo diretto superiore in tribunale, una donna tutta “occhioni sgranati”, labbra socchiuse, camicette in tinta con lo smalto e pettinatura da coiffeur di provincia.

Come se non bastasse, in questo intreccio di una piattezza macroscopica è stato inserito anche un “discorsetto” sulla dittatura fascista argentina e sulla polizia politica che negli anni settanta rapiva e uccideva gli oppositori del regime e del sistema. Tale aspetto rappresenta proprio il punto più discutibile dell’intera operazione, poiché riduce una questione così tragica e dolorosa, per molti esseri umani, a sfondo socio-politico, non così significativo nelle vite dei cittadini argentini di quell’epoca.
La struttura narrativa si affida a numerosi flashback e continui ritorni al presente (che banalità, che noia), mentre il modo di inquadrare di Juan José Campanella è talmente studiato e ripetitivo (si potrebbe dire scolastico) da raggiungere un’evidente rigidità espressiva che denuncia una sorta di mancanza di sguardo registico personale da parte dell’autore.
Che dire che, viste tali caratteristiche, Il segreto dei suoi occhi rappresentava il lavoro perfetto per ricevere un Premio Oscar. E così puntualmente è stato.


di Maurizio G. De Bonis
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