Il Naso o La cospirazione degli anticonformisti

La recensione di Simone Soranna e la rassegna stampa a cura di Francesco Grieco per il film di Andrey Khrzhanovskiy, film della critica SNCCI.

Il naso o la cospirazione degli anticonformisti di Andrey Khrzhanovskiy, distribuito da Double Line, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani (SNCCI) con la seguente motivazione:

«Ci sono momenti in cui il cinema riesce a cogliere il senso della Storia, e la tragedia dell’umano. L’ottantaduenne regista russo, partendo da Gogol e Šostakóvič, utilizza diverse tecniche di animazione, e le sposa con brani di film sovietici per raccontare la ciclica ricaduta nella repressione politico/ideologica in Russia e ribadire il ruolo delicato e centrale della cultura. La messa in scena dell’utopia di un’arte rivoluzionaria da mettere a servizio di un popolo rivoluzionario, scacciata via dalla “cospirazione” del Potere centrale verso gli intellettuali».

La recensione
di Simone Soranna

Indubbiamente, trovandoci dinnanzi a un film di Andrey Khrzhanovskiy, verrebbe spontaneo soffermarsi sull’animazione. In effetti, Il naso o la cospirazione degli anticonformisti (da qui in avanti solamente Il naso) è un ottimo film animato che prende le mosse, per poi dirigersi anche su altri lidi, dall’opera lirica di Shostakovich a sua volta tratta dal celebre racconto di Gogol’. L’autore russo, varcata la soglia degli ottant’anni, mette in scena tutta la sua esperienza, raccontando in tre atti (chiamati “sogni”) un viaggio caleidoscopico che indaga la sottile e controversa relazione tra Arte e Potere che da sempre attraversa le diverse epoche della Storia.

Fautore ed esponente di un cinema vivo, audace e difficilmente catalogabile in una corrente stilistica univoca, Khrzhanovskiy sembra voler sintetizzare quanto appreso lungo le decadi della sua carriera. Così, Il naso si presenta come un flusso di immagini senza fine, spaziando dalla CGI al disegno tradizionale, senza dimenticare la tecnica a carboncino, i disegni a pastello o i cut-out. Eppure, se i tre atti confermano la maestria e il talento di un autore ancora in grado di ragionare sui limiti e i significanti del tratto animato, è la cornice narrativa con cui si apre e si chiude il lungometraggio a racchiudere una delle più semplici, e per questo potenti, raffigurazioni della contemporaneità.

Girati principalmente in live action, il prologo e l’epilogo del film portano in scena alcuni passeggeri che, durante un volo di linea, sono intenti a guardare uno schermo. A bordo troviamo alcuni rappresentanti della moderna cultura russa, unitamente ad amici e collaboratori di Khrzhanovskiy (tra cui è presente anche Tonino Guerra). Ognuno ha davanti a sé i monitor collocati sul lato posteriore delle poltrone, nei quali vengono trasmessi film differenti accomunati dalla loro rilevanza storica. L’aereo si trasforma così in un “multiverso” di immagini, una sala cinematografica odierna in cui la visione collettiva è sostituita da molteplici schermi fruiti individualmente. I diversi stili e le diverse tecniche che prendono vita dai vari sedili sono un antipasto di quello che seguirà, una sorta di anticipazione rispetto alla matrice formale de Il naso.

Tuttavia, l’intuizione più indovinata viene raccolta sul finale, quando l’intero gruppo di passeggeri si trova sintonizzato sul medesimo film (uno “stormo” di aerei che porta il nome di artisti messi a tacere dal Potere) che diventa un simbolo poetico e lacerante, un’unione d’intenti che racchiude al suo interno tutta la tragedia dei singoli dinanzi al dipanarsi della Storia. Il naso sprona quindi a prendere il volo, a rivolgere la punta dei propri nasi verso l’alto e a trovare il coraggio per non smettere di credere che, un giorno, quegli aerei e quei passeggeri potranno finalmente tornare a terra, colmi di un’arte poliedrica e di un pensiero comune che possano trasformarsi in realtà e non più fluttuare nell’etere come utopia dissidente.

Una breve rassegna della stampa italiana sul film
(a cura di Francesco Grieco)

Il naso o la cospirazione degli anticonformisti in Italia è uscito in sala in poche copie, ma rimaniamo comunque un po’ sorpresi a scoprire che sia sostanzialmente ignorato sulle pagine dei quotidiani di maggiore tiratura. Probabilmente perché si rivolge più a un pubblico di “cinefili” che allo spettatore occasionale, Il naso riceve invece una particolare attenzione dalle riviste specializzate, che ne analizzano con dovizia di particolari la singolare struttura.

E così, Emiliano Morreale scrive su FilmTv: «il film alterna varie forme e stili (bianco e nero e colore, figure ritagliate e acquerelli, immagini di repertorio e riprese dal vero) secondo la logica del pastiche e del collage: ossia proprio quella delle avanguardie storiche». E proprio come per molti film delle avanguardie storiche, Il naso fa del montaggio lo strumento principe per esprimere il suo formalismo mai fine a se stesso. Lo conferma Donato D’Elia su Quinlan: «in questo magma di suggestioni, rimandi, riferimenti, il montaggio (si vorrebbe dire, senza timore di errore, intellettuale) di Khrzhanovskiy mantiene il controllo sulla materia e, quando sembra perderlo, non restituisce mai una sensazione di improvvisazione o confusione, ma di delirio controllato».

Va da sé che a Khrzhanovskiy il realismo non interessa affatto, come sottolinea Tonino De Pace su Duels: «Il naso o la cospirazione degli anticonformisti, con le sue animazioni frammiste a filmati del cinema russo degli anni ‘20, ma non soltanto, con le sue incursioni nella storia della russa staliniana, smette di legarsi a qualsiasi realismo imitativo o a qualsivoglia piana narrazione storica per giocare le carte di un surrealismo critico che sa farsi anche vigorosa critica storica e forse anche celata critica ad un intollerabile presente». L’animazione, di cui Khrzhanovskiy è sempre stato un maestro, risulta la scelta migliore per poter manifestare il dissenso. Infatti, come fa notare Silvana Silvestri sul Manifesto, «i disegni e i colori tenui sembrano togliere ferocia al racconto, lasciandola scorrere sotterraneamente durante tutto il film, ironico e violento. L’animazione ha la particolarità di sembrare innocua, ma nei paesi dell’est una lunga tradizione a scavalcare la censura l’ha resa arma infallibile e velenosa».

Con quale effetto sul pubblico? Lo chiarisce Giancarlo Zappoli su MyMovies: «quando un pamphlet per immagini riesce a provocare ad ogni cambio di scena lo stupore misto al ricordo di un testo, di un film, di un quadro significa che si è andati oltre al semplice assunto mostrando e dimostrando quanto sia ancora forte l’impatto che un cinema di animazione, liberato dagli stereotipi correnti, può avere su un pubblico adulto e colto». Un film, dunque, che è tanto universale nel valore delle sue idee, quanto fortemente radicato nella storia del suo Paese: «seguendo il filo di un’arte russa segnata per sempre dallo scontro tra trasfigurazione simbolica e contenimento del regime (non ultimo quello di Putin, che viene citato), il film lascia sbalorditi per densità e senso testamentario – anche cinematografico – di un intero continente» (Roy Menarini su roymenarini.it).

Film testamentario, quindi, ma allo stesso tempo pieno di amore per la vita: «ritagli di una carrellata artistica che solo a prima vista appaiono estemporanei: La corazzata Potëmkin, Tarkovskij, Dziga Vertov, Pudovkin e il surrealismo di alcune scene vogliono essere infatti coriandoli di un carnevale che, nonostante il dramma dell’epoca (ma quale era non ha i suoi guardiani) non vuole e non può rinunciare al suo vitalismo. Si spiega così la riscrittura ucronica, ad esempio, del rapporto fra Stalin e Bulgakov» (Mario Turco su Sentieri Selvaggi).


di Redazione
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