Il mondo dietro di te

La recensione di Il mondo dietro di te, di Sam Esmail, a cura di Francesco Di Brigida.

Non si erano mai incontrate sul set queste tre icone del cinema americano anni ’80 e ’90. Accade per un film Netflix di pura distribuzione digitale, Il mondo dietro di te, in piattaforma dall’8 dicembre. Ethan Hawke e Julia Roberts interpretano una coppia serena che cerca di rilassarsi insieme ai due figli affittando una bella villa un po’ isolata nel verde ma vicina al mare.

Dopo lo strano insabbiamento a riva di una petroliera sulla loro spiaggia a Long Island, l’arrivo improvviso di due persone nel pieno della notte, una ragazza e suo padre, il padrone di casa con il volto del due volte Premio Oscar Mahershala Ali, inizierà una catena di eventi bizzarri e inquietanti. Il più determinante? L’isolamento dal web, naturalmente. Mentre tornando al novecento di cui sopra, la terza icona nel cast è Kevin Bacon che interpreta un vicino, diciamo così, un po’ burbero.

Il regista Sam Esmail, già autore della serie Mr. Robot, prende il romanzo Leave the World Behind di Rumaan Alam, edito in Italia da La Nave di Teseo, e si fa produrre tra gli altri da Michelle Obama. Ne viene fuori un mistery apocalittico ed enigmatico perfettamente in linea con tante distopie già viste su questa piattaforma. Tanti gli elementi familiari, o già visti recentemente che ci si possono trovare dentro. Dalla spiaggia dove accadrà la prima stranezza si pensa a Old di M. Night Shyamalan e per alcune atmosfere catartiche tra la vegetazione silente lasciano pensare a E venne il giorno, sempre della stesso regista. Poi ci sono piccoli cliché che toccano anche il lavori di Jordan Peele, ma rimaniamo su ciò che questo film ci dice d’originale.

Nei suoi contenuti rappresenta un principio d’apocalisse visto da un isolamento borghese  tutto sommato meno minaccioso della città. Pone l’accento su elementi che strozzano l’oggi , prima fra tutti è la paura, la sfiducia nel prossimo. Insomma, quella dei personaggi, ben diretti e ben interpretati, è un ritratto che cerca l’originalità in varie direzioni, ma l’unica sensazione che riesce a instillare è un sottile disagio senza emozioni forti purtroppo. Con l’elemento cervo ribaltato nella significanza simbolica da pacifico animale a possibile aggressore inserito in un quadro distopico di spaesamento dei personaggi e del pubblico si fa  il colpo più incisivo forse. Guardarlo su grande schermo nelle sue due ore e venti è un’avventura prolissa ma visivamente valevole. Peccato che la piattaforma impedisca per sua natura questa possibilità per il pubblico.


di Francesco Di Brigida
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