Il gusto delle cose

La recensione di Il gusto delle cose, di Tran Anh Hung, a cura di Mariangela Di Natale.

Amore e gastronomia. Tran Anh Hung mette in scena una parabola romantica tra campagne francesi e dimore sontuose, attorno a piatti e personaggi in una Francia di fine Ottocento. Premiato a Cannes per la miglior regia, dal 9 maggio al cinema con Lucky Red, Il Gusto delle Cose celebra la passione culinaria. Il cibo è dunque protagonista e solo attorno ad esso ruotano i due  protagonisti.

Eugénie, interpretata da Juliette Binoche, è una cuoca sopraffina che lavora da vent’anni al fianco del rinomato gastronomo Dodin, interpretato da Benoît Magimel. I due vivono in un castello, creano piatti deliziosi e saporiti che cadenzano la routine quotidiana e stupiscono i più grandi gourmet del mondo. Ma tra loro c’è anche un sentimento che va al di là della cucina e del rapporto professionale, un’alchimia silenziosa ma equilibrata che Dodin manifesta quando decide di cucinare per Eugénie: un  atto di devozione e di amore verso di lei.

Il cineasta franco-vietnamita riesce a delineare emozioni e affetti con discrezione ed eleganza dei modi, così da accarezzare i personaggi. Il loro è un sodalizio culinario che, col passare degli anni, si è consolidato in un legame sentimentale, delicatamente descritto dalla macchina da presa di Tran Ahn Hung, che danza leggera attorno ai fornelli, pentole di rame, con sguardi d’intesa e complicità, gesti e silenzi eloquenti che filtrano tra i fumi di cottura, brodi, bolliti o arrosti  preparati seguendo ricette antiche, sapori richiamati alla memoria dall’impeccabile coreografia.

Al di là delle abilità di cucina, che hanno visto la collaborazione dello chef tristellato Pierre Gagnaire, il regista riesce a ritrarre anche un affascinante dipinto d’epoca di fine 800, un paradiso bucolico della campagna francese, con una soavità di luce quasi di natura impressionista e una celebrazione di bellezza e amore in tutte le sue sfumature. Ispirato al romanzo di Marcel Raouff, La vie et la passion de Dodin-Bouffant, il film è un  gioco armonioso tra ingredienti e abilità, aromi e profumi, talento  e tecnica meticolosa della preparazione dei piatti, dunque non una  competizione ma condivisione di nozioni. Dagli accostamenti di cibo al bicchiere di vino, ogni elemento viene illustrato e preparato con cura.

Un sapiente rito quello di raccontare l’arte gastronomica al fine di restituire sensazioni profonde, quasi palpabili e percettive.  Poesia, grazia e raffinatezza nella cucina di Dodin Bouffant, dove i sapori sono continua memoria, i piatti e le ricette sono filmati lentamente come il lavoro di un orafo, come oggetti preziosi, opere d’arte, con una sequenza e dovizia dei dettagli che trasuda passione e fa venire l’acquolina in bocca. Così l’autore ci immerge con garbo ed eleganza in un mondo sensoriale e passionale, ci esorta a rilassarci, a degustare  il vero sapore delle cose, ad apprezzare lentamente le piccole gioie ed emozioni, assaporare ogni momento e sorseggiare ogni istante dell’esistenza umana come un vino pregiato.


di Redazione
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