Il figlio più piccolo

Dopo La cena per farli conoscere, Il papà di Giovanna , Il figlio più piccolo, l’ultima opera del regista Pupi Avati, affronta di nuovo l’inettitudine di un padre (questa volta ancora più malevola) che non riesce ad essere un bravo genitore, circondato dal proprio mondo, intriso di amoralità e losche faccende. Luciano Baietti (Christian De Sica) è un giovane imprenditore “arrampicatore sociale” ambizioso, che, consigliato dal commercialista di fiducia (Luca Zingaretti) ed ex frate (non a caso continuerà a portare i sandali ai piedi) sposa per “affare”, portandole poi via tutto, Fiamma (Laura Morante) soprannominata “Scemina” per la sua disarmante ingenuità. Dalla donna avrà due figli. Sedici anni dopo Luciano, divorziato oramai da Emma, è diventato un imprenditore a capo di una Holding di alto livello, ma che si regge completamente su aziende fantasma, ricatti, evasioni fiscali e squallide raccomandazioni. L’uomo, sotto consiglio ancora del suo commercialista, è in procinto di sposare un’altra donna della “Roma bene”, per poter salvare il suo impero, minacciato dalle intercettazioni. Proprio per fuggire alla galera, Baietti si lascerà convincere a lasciare tutti i suoi beni loschi a Baldo, il figlio più piccolo, avuto dalla “Scemina”…
Pupi Avati, dopo Katia Ricciarelli ed Ezio Greggio, stavolta porta sul grande schermo un altro personaggio, Christian De Sica, con un nuovo ruolo, estraneo completamente alla commedia ed ai “cinepanettoni” della sua lunga carriera cinematografica. L’attore riesce con abilità e coraggio a calarsi nei panni dello spietato Baietti, risultando credibile, seppur cadendo a volte in qualche “macchietta” che richiama il suo classico personaggio comico. Un ruolo, quello drammatico, sul quale dovrebbe buttarsi maggiormente e con ancora più profondità nell’interpretazione.
L’attore fallito con il pallino di recitare in un film di Pietro Germi ( interpretato da Diego Abatantuono) de La cena per farli conoscere , al momento del dolore e della sofferenza, riusciva in qualche modo a spogliarsi dell’egoismo e del cinismo ed a percepire con un certo rimorso l’affetto per le sue figlie lontane, e a sentire il bisogno di averle vicine. Il Professor Michele (interpretato da Silvio Orlando) de“Il Papà di Giovanna” , invece, per il troppo amore incondizionato nei confronti di sua figlia, non riesce a vedere e a capire fino in fondo il disagio di quest’ultima, proteggendola in maniera esagerata e convincendosi della sua innocenza. Luciano Baietti de Il figlio più piccolo, invece, non ha mai avuto rapporti con i propri figli, e, per sola ed esclusiva utilità richiama dopo sedici anni il figlio più piccolo, illuso, nella sua ingenuità, che quel padre possa ancora volergli bene. Il grande affetto desiderato, però, non c’è mai stato. Il personaggio di Baietti non sembra mai mostrare un benché minimo senso di colpa o di redenzione, o se c’è, questo non è mai espresso in maniera patetica. Anche l’imprenditore, però, verrà messo a nudo nella sua grave debolezza. Nicola Nocella interpreta con grande sensibilità e delicatezza il giovane Baldo. Laura Morante stavolta riesce con discreta moderazione nella figura della donna abbandonata, innamorata e sola, che nonostante tutto, riesce ancora a perdonare e a giustificare il marito (e, qui, forse la poca credibilità del personaggio). Il mondo dei perdenti di Pupi Avati è ancora più complesso, perché mette in mostra quella porzione di realtà contemporanea fatta di scandali, ricatti, scalate al potere di cui tanto sentiamo parlare in tv o sui giornali. Forse è anche per questo che lo spettatore non riesce a rimanere poi così sconvolto. Ne “Il figlio più piccolo” da una parte ci sono gli “uomini di malaffare”, i corrotti, gli spregiudicati, che hanno fatto del denaro l’unico scopo della vita, dall’altra ci sono gli ingenui, le vittime di questo sistema. Una distinzione troppo radicale ma comunque efficace nell’opera. Avati questa società la rappresenta con distacco, senza enfatizzare, con toni pacati, intimi, come un piccolo racconto, cinico, umano, poetico e volte leggermente grottesco, che non vuole essere per forza solo una grande opera di denuncia.
Ritornano ancora le vie della sua amata Bologna che stavolta si alternano a quelle della città eterna. Seppur con qualche piccola forzatura e qualche veloce passaggio nella sceneggiatura, Il figlio più piccolo rimane comunque un buon prodotto cinematografico, costituendo, purtroppo, un inevitabile e amaro spunto di riflessione.
Elisabetta Monti
Dopo i ricordi adolescenziali rievocati con spirito giocoso ne “ Gli amici del Bar Margherita”, Avati ritorna nella sua Bologna per girarvi “Il figlio più piccolo”, storia familiare tra inganni e cinismo su uno sfondo di cronaca recente. Luciano Baietti è un immobiliarista furfante che ha costruito la sua fortuna a suon d’illeciti, primo fra tutti, l’abbandono della moglie Fiamma e dei due figli il giorno stesso delle nozze, dopo averle sottratto, indebitamente, la proprietà dei beni di famiglia. Molti anni dopo, per evitare il tracollo finanziario e personale, su consiglio del suo spregiudicato consigliere d’affari Bollino, richiamerà il figlio più piccolo, Baldo, per donargli tutti i suoi averi e con essi un’ingente mole di debiti. Come per molti dei suoi film (questo è il quarantesimo) Avati punta ancora sull’intimismo dei sentimenti per dire la sua sulla vita. Ripescando dalla memoria personale luoghi, personaggi ed eventi, tratteggia efficacemente complesse psicologie con semplici tratti, inquadrando gli amori e i dolori di un’umanità spesso più misera che degna di lode, ma sempre vivida nella sua aderenza alla realtà o, altrimenti, alle sue illusioni. Ed ecco, allora, un Christian De Sica rivisitato drammaticamente, e corredato dall’anima nera di un ipocondriaco Zingaretti, rimandare ai noti millantatori della finanza, all’abiezione al dio denaro, all’imperativo categorico di un ego ipermaterialista, pubblicizzato dalla stupidità di media voraci che seguono soltanto l’onda dello share. E, al suo fianco, la splendida illusione del personaggio di Fiamma, cui una solida Laura Morante dà il volto isterico di un’eterna bambina, sconfitta dalla vita e dalle fragilità di un cuore troppo buono. E, infine, lui, il figlio più piccolo, l’esordiente Nicola Nocella, disarmante nella sua surreale ingenuità, emozionante nell’autenticità dei suoi sentimenti verso un padre nel cui mito è vissuto, incondizionatamente, insieme alla madre. Avati raffigura in questo film narrativamente compatto, girato in maniera semplice ma impeccabile, un amareggiato affresco del nostro tempo e ci regala, ancora una volta, personaggi densi di significato, che confermano la sua bravura nel guidare gli attori. Unico neo del film rimane, purtroppo, la semplicistica contrapposizione (quasi manichea) tra fanciullini e cattivissimi, che rende meno incisiva la sottile satira di costume.
Amanda Romano
di Elisabetta Monti e Amanda Romano