Il divo
Al termine della visione del film di Sorrentino, viene in mente il famigerato dibattito di Io sono un autarchico di Moretti in cui il regista teatrale interpretato da Fabio Traversa, a proposito dello spettacolo messo in scena, commenta: “Agganci con la realtà? Certamente! Il nostro, infatti, pur non essendo uno spettacolo reale, è, però, uno spettacolo realistico”. Parole, queste, perfette per descrivere la sensazione generale che si prova di fronte a Il divo, non tanto ritratto realistico di Andreottti quanto racconto surreale, ma verosimile, del periodo che va dalla fine della prima Repubblica all’inizio del processo per mafia che lo vede coinvolto.
Attraverso un personaggio di grande complessità psicologica, un uomo che è stato sette volte Presidente del Consiglio e che è stato accusato, “tranne che delle guerre puniche”, di tutto quello che è successo in Italia, Sorrentino ricostruisce, alla sua maniera, un pezzo della nostra Storia e riflette sul Potere e sui rapporti che si stabiliscono tra i diversi poteri di uno Stato. In definitiva, Il divo è un’opera di creazione, non ha nulla del documentario, anzi esibisce costantemente una cifra ai limiti del grottesco, ciò nonostante, però, o forse proprio per questo, riesce a rendere superbamente i meccanismi del Potere: i morti di cui si parla nel film sono veri così come sono tragicamente vere le logiche, apparentemente assurde, alla base di quei delitti e di quelle stragi. Una caratteristica che accomuna, invece, questo film agli altri di Sorrentino è la solitudine del protagonista: il distacco, l’isolamento del personaggio principale diventano qui un fatto tangibile, quasi fisico nella sequenza in cui Andreotti viene mostrato chiuso, intrappolato nell’automobile sotto la pioggia che scroscia. Il divo riesce a coniugare, grazie ad una rara ironia, la denuncia con una sorta di pietas nei confronti delle varie figure, di cui viene evidenziata, comunque, l’umanità: si vede, così, Evangelisti (Flavio Bucci), braccio destro di Andreotti (Toni Servillo) lamentarsi del poco affetto mostratogli dal senatore o Pomicino (Carlo Buccirosso) comportarsi, in più di un’occasione, come un ragazzino scapestrato.
Insomma, il regista di Le conseguenze dell’amore realizza un’opera inusuale, giocosamente perturbante, con un ritmo sconosciuto ai suoi lavori precedenti e con un cast all’altezza della sfida intrapresa. In questo senso, ha ragione Sorrentino nel dire che Il divo rappresenta per lui un punto di arrivo e di sentire il bisogno di tentare qualcosa di completamente diverso come, ad esempio, un film comico. In verità, forse senza rendersi conto, l’autore di Il divo ha già realizzato la sua prima, seppur nera e surreale, irresistibile commedia.
di Mariella Cruciani