Il concerto

La tensione artistica e la questione morale. La volontà di emergere e la dignità umana. Una vita immaginata e una vita realmente vissuta. Il desiderio di arrivare e la necessità di essere solidali. L’oblio e il successo.

L’orchestra, ultima fatica registica di Radu Mihaileanu (presentata nell’ambito del Festival Internazionale del Film di Roma), è incentrata su una struttura contenutistica che genera inevitabilmente una sorta di circuito virtuoso/vizioso, a causa del quale lo spettatore finisce per identificarsi senza ombra di dubbio con il “perdente dal gran cuore”.  Mihaileanu gestisce con suprema perizia questo meccanismo, cura con amorevole abilità i suoi personaggi, li porta con estrema attenzione fino alla conclusione della vicenda e poi li consegna alle emozioni dello spettatore che non può che finire per amarli. Il concerto possiede le stesse connotazioni di Train de Vie: forte e scoppiettante impostazione registica, struttura del racconto avvincente, personaggi che ispirano simpatia, contenuti di rara profondità. Proprio questo sapiente mix, costantemente al centro della poetica del cinema di Mihaileanu, fa emergere un fattore su cui riflettere: questo autore si muove con sistematica razionalità su coordinate il cui perno centrale è un eccesso di progettazione in funzione spettacolare/commerciale.

Su tale questione si innesta un aspetto singolare riguardante l’oscillazione paurosa del tono dei suoi film, tra politicamente corretto e luogo comune, tra visione idealistica positiva e atteggiamento non esattamente rispettoso nei riguardi di quelle stesse realtà a cui intende dimostrare il proprio attaccamento. I toni della commedia parossistica utilizzati per Train de vie divengono ne l’Orchestra flussi espressivi di segreti assoluti (e non si capisce bene perché debbano essere tali). Lo sguardo sulla cultura ebraica è sempre vivo (ricordiamo a tal proposito anche il film franco-israeliano Vai e vivrai), anche se caratterizzato, qua e la, da qualche banale e imbarazzante caduta di stile (a dispetto del politicamente corretto che cerca di rispettare). Il direttore d’orchestra russo caduto in disgrazia per aver rifiutato di separarsi dai musicisti ebrei con i quali preparava i suoi concerti, in ogni caso, è una figura straordinariamente edificante che possiede una stratificazione generatrice di nuovi elementi di racconto. L’uomo porta con sé un segreto, lo coccola, lo protegge. È dunque prudente e umanamente responsabile ma allo stesso tempo lancia un gruppo di “disperati” in un’impresa impossibile e grottesca. Fingersi, insieme ai suoi amici ex musicisti, componente/direttore dell’orchestra del Bolshoi di Mosca è una chiara forzatura cinematografica e ha il sapore più della favola che della parabola morale.

Emerge dal disegno contenutistico elaborato da Mihaileanu una visione etica dei comportamenti umani, visione etica che è evidentemente posta un gradino più in alto rispetto alle esigenze di autoaffermazione dell’autore stesso. L’orchestra, dunque, è un film che presenta numerosi aspetti stimolanti ma che conferma  la nostra idea su Radu Mihaileanu: figura registica non totalmente in grado di gestire il suo pur evidente e straripante talento. Nonostante i successi internazionali, in sostanza, aspettiamo il film della sua maturità.


di Maurizio G. De Bonis
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