Il castello nel cielo
La recensione di Il castello del cielo, di Hayao Miyazaki, a cura di Francesco Parrino.
Dopo il successo di Nausicaä della Valle del Vento, Hayao Miyazaki volle iniziare a lavorare su un anime d’avventura vecchio stile di grande impatto visivo. Il problema era capire come e dove realizzarlo, perchè la Topcraft – studio di animazione che si occupò dei disegni di Nausicaä – dichiarò bancarotta poco dopo. A quel punto per Miyazaki e Isao Takahata si trattò di trovare una nuova casa: lo Studio Ghibli, fondato nel giugno 1985 e dal nome evocativo tutt’altro che casuale. Ghibli è un termine arabo indicante, rispettivamente, un vento caldo del Sahara e un aereo dell’aviazione italiana durante la Seconda Guerra Mondiale. Da qui la scelta del titolo: il soffiare di un vento caldo di creatività che rivoluzionasse per sempre l’animazione giapponese. A inaugurare il neonato studio fu proprio Il Castello nel Cielo del 1986, uno dei più interessanti e meno celebrati capolavori del maestro nipponico.
A partire dalla scelta del titolo perchè la Laputa del film trae dichiarata ispirazione dall’omonima isola descritta da Jonathan Swift ne I viaggi di Gulliver del 1726. Popolata di gente colta nella tecnologia, nell’astronomia, nella matematica e nella musica, ma di scarsissimo senso pratico, il resto della popolazione è costituita unicamente da servitori di quest’intellighenzia, la Laputa di Swift è un’isola o roccia volante con una base d’adamante che può essere manovrata utilizzando un gigantesco magnete. Miyazaki – che al magnete preferì una gravi-pietra dai poteri magici – ne ribaltò l’inerzia descrivendo la sua Laputa come una mitologica e super-tecnologica città-castello volante che viaggia nel cielo da centinaia di anni nascosta dalle nuvole, in cui si dice sia nascosto un tesoro leggendario. Morfologicamente invece, Laputa trae ispirazione dal Paronella Park, un castello costruito negli anni Trenta da José Paronella nel Queensland, in Australia.
Il villaggio di Pazu in Il Castello nel Cielo è invece basato sulle città minerarie gallesi. Una terra, il Galles, che Miyazaki visitò personalmente nel 1984 nel pieno dello sciopero dei minatori (UK Miners’strike). Un’azione di lotta sindacale condotta dall’Unione Nazionale Minatori di Arthur Scargill volta ad impedire la chiusura di venti giacimenti carboniferi britannici con il conseguente licenziamento di 20.000 minatori. Quel viaggio cambiò per sempre la percezione del mondo di Miyazaki: «Ho veramente ammirato il modo in cui i sindacati dei minatori lottavano fino in fondo per il loro lavoro e le loro comunità. Ho stimato quegli uomini, il modo in cui combattevano per salvare il loro modo di vivere e volevo riflettere la forza di queste comunità nel film. Molte persone della mia generazione vedono i minatori come un simbolo, una razza in estinzione di uomini combattenti. Ora non ci sono più».
Da qui prende forma un film che, tra Conan il ragazzo del futuro e Nausicaä della Valle del Vento, nel rievocare il tema di una coppia di adolescenti in fuga e di un super-cattivo spietato e avido di potere, vede Miyazaki raccontare di amore, fiducia, ecologismo e antimilitarismo, in una grande avventura per ragazzi che se fosse in live action sembrerebbe quasi il figlio (il)legittimo di Star Wars e I Goonies ma che come anime vive del tocco magico di un Miyazaki ispirato e voglioso di avventure, di mistero e di magia. Un successo clamoroso. E non solo perchè ispiratore eccellente di opere come Nadia – Il mistero della pietra azzurra, Atlantis – L’impero perduto e Mary il fiore della strega. La prima volta dello Studio Ghibli, l’inizio di un viaggio straordinario entrato di diritto nell’immaginario collettivo e nel cuore degli spettatori.
di Francesco Parrino