Home Education – Le regole del male

La recensione di Home Education - Le regole del male, di Andrea Niada, a cura di Gianlorenzo Franzì.

L’horror è storicamente quel genere che sa piegare il contemporaneo ai suoi codici per spiegarli meglio di come appaiono: un po’ perché l’orrore racconta meglio di tante parole le nostre inquietudini più profonde e inevitabilmente coeve al tempo in cui nasce, un po’ perché i suoi codici al cinema permettono sperimentazioni ardite altrove paradossali.

Home Education – Le regole del male è il debutto di Andrea Niada, e potrebbe sembrare un piccolo film se non fosse per la distribuzione Warner e la presenza nel cast di un volto leggendario come quello di Julia Ormond: piccolo ovviamente per dimensioni produttive, che sono invece consone a un progetto affascinante quanto impregnato di inquietudine.

Ambientato nei boschi della Sila (perfetto in questo caso il contributo di Calabria Film Commission, che mette in linea retta le esigenze produttive e quelle artistiche), Home Education – Le regole del male è un film fatto di solitudini che si incontrano ed esplodono, di come la fede è inestricabilmente intrecciata con la follia, tutto intessuto su una storia che si volge, con attenzione e sensibilità, su temi imponenti come i rapporti familiari tossici e i dolori della crescita.

Eppure, nonostante le altezze e le profondità, Niada non straborda mai in ambizione, e anzi il suo debutto è equilibrato e misuratissimo, mentre sceglie l’horror più cerebrale e per questo spaventoso: sono i fantasmi della mente che occupano la piccola casa dove vivono una madre e una figlia, un eremo immerso in un bosco che esce pari pari dagli studi di Bettelheim.

Diventando quindi un fondamentale e insostituibile rito di passaggio, di cambiamento e di crescita. È sempre la psicoanalisi che ci dice come l’Organismo per autorealizzarsi debba per forza di cose attraversare proprio ciò che ci fa più paura, senza negarlo o distorcerlo (Pinkola Estés nel 1970 diceva: Andate nel bosco, andate. Se non andate nel bosco, nulla mai accadrà, e la vostra vita non avrà mai inizio): la straordinaria opera prima di Niada allora gira intorno a questi puntelli per costruire un crescendo di tensione e dolore lacerante quanto latente, spingendo le sue protagonista oltre i loro limiti tenendo conto delle dinamiche personali e della mitologia religiosa.

Quello che esce fuori è alla fine un’opera profondamente disturbante e angosciante, mentre impregna il subconscio di chi guarda di suggestioni e umori così profondi che restano lì, sul fondo, maturando nel nostro più personale cono d’ombra, fino a svelarci qualcosa che neanche sapevamo fosse dentro di noi.


di Gianlorenzo Franzì
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