Happy Family

Gabriele Salvatores, Premio Oscar 1991 con Mediterraneo, ha una predilezione per le storie drammatiche, seppur alleggerite da tocchi comici. Con Happy Family, invece, ha preso la strada della commedia a tutto tondo, riuscendo nell’impresa di confezionare un film leggero, intelligente, particolare anche se infarcito di ricordi di altre opere, teatrali e cinematografiche. Un giovanotto che vive di rendita, non ha mai lavorato ed è stato appena lasciato dalla compagna, decide di scrivere un film che come lui stesso si propone, dovrà essere d’autore, ma anche avere successo.

Impresa improba, aggravata dal fatto che i personaggi partoriti dalla sua mente e fissati sulla tastiera del computer, prendono vita e lo visitano pretendendo, ciascuno,  uno spazio maggiore di quello che hanno, sviluppi narrativi precisi e via dicendo. A questo punto il lettore avrà già capito che ci troviamo dalle parti del teatro di Luigi Pirandello (1867 -1936), in particolare dei Sei personaggi in cerca d’autore (1920), ma anche di altri cineasti come Woody Allen (La rosa purpurea del CairoThe Purple Rose of Cairo – 1985) e Buster Keaton (Sherlock Junior, in Italia La palla numero 13, 1924). L’originalità di Gabriele Salvatores sta nel non nascondere questi richiami, ma utilizzarli per costruire una commedia deliziosamente sentimentale in cui anche la morte diventa un fattore di serenità.

Un altro pregio dell’opera è un altissimo livello della recitazione, mai visto Diego Abatantuono tanto convincente, e un uso della macchina da presa fluido ed essenziale. Una nota particolare meritano i pochi minuti in bianco e nero che accompagnano l’esecuzione di un notturno di Fryderyk Chopin (1810 – 1849), un sentito, bellissimo omaggio a Milano.

Per concessione di www.cinemaeteatro.com


di Umberto Rossi
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