Grace di Monaco

Contestata la decisione degli organizzatori del Festival di Cannes per avere scelto per l’inaugurazione della 67° edizione un film di cui già si diceva poco positivamente, la visione da parte di critica e pubblico ha confermato i timori della vigilia. Il problema dei Festival cinematografici, soprattutto quelli di respiro internazionale, è di avere ospiti di buon o grande nome nonostante i tagli che hanno nel budget e questo spiega il rischio corso da parte dei responsabili di questa manifestazione. Ma la qualità del prodotto è talmente bassa, che il beneficio per spazi notevoli nei mass media si può ritorcere contro la credibilità di quanto ulteriormente sarà proposto.
In questa produzione prevalentemente europea, in cui è impegnata anche la Lucky Red, sembra quasi ci sia la volontà di scimmiottare i colossal d’oltreoceano senza averne le capacità, donandoci un film in cui tutto appare come grandeur soprattutto grazie allo sfoggio di splendidi palazzi, di vestiti da favola, di banchetti molto curati. Ma il film latita, si ha solo un estetismo vacuo che ci costringe a vedere molteplici volte inquadrature da cartolina del Principato di Monaco e poco più.
Olivier Dahan è stato scelto soprattutto perché aveva realizzato nel 2007 La vie en rose (La môme), biopic su Edith Piaff che aveva fatto conquistare l’Oscar alla protagonista Marion Cotillard. Non sappiamo se la colpa principale sia da ascriversi allo sceneggiatore Arash Amel, con unica precedente esperienza cinematografica con la scrittura di Erased (2012), mediocre thriller su ex agente della CIA, o al regista; di sicuro il risultato finale si avvicina alla sufficienza solo per la buona prova della solita Nicole Kidman.
Si parla di Grace Kelly attrice hollywoodiana di successo e di Alfred Hitchcock che la raggiunge nel Principato per proporle il ruolo di protagonista di Marnie (1964), poi del matrimonio combinato da un prete cattolico statunitense, della crisi che dura sei anni fino a quando la Francia di De Gaule non diviene nemico numero uno del Principato. Forse per la precedente esperienza dello sceneggiatore nel mondo del thriller, parte del film è dedicato alla scoperta della talpa che fornisce informazioni ai francesi per precedere le mosse di Ranieri di Monaco.E’ la sempre presente segretaria di Grace che viene scoperta a fare il doppio gioco ma che ha come burattinaia la sorella maggiore del Principe regnante, Antoinette.
E qui si raggiunge quasi il peggio, con la donna a cui De Gaulle ha promesso forse il trono, il marito dal cui volto trapela in ogni scena una confessione di colpevolezza, scene tragicomiche in cui Grace vestita di scuro si trasforma in detective e sembra una citazione di Caccia al ladro (To Catch a Thief, 1955), il tentativo dapprima di negare ogni colpa e poi di chiedere perdono alla cognata, l’espulsione dal Principato: siamo nel 1962, data comprovata dalla Guerra di Algeria.
E’ storia vera che la donna venne esiliata assieme alla famiglia in Costa Azzurra, ma non nel 1962 e grazie all’intervento di Grace, ma parecchi anni prima quando era stato vociferato che l’allora fidanzata del principe, l’attrice Gisèle Pascal, era sterile e che Monaco senza eredi sarebbe tornata alla Francia. Quindi, non era neppure iniziata la liaison tra la bella americana ed il Principe.
All’inizio del film appare la scritta in cui i realizzatori si manlevano da ogni responsabilità dicendo che è una storia di fantasia basata su fatti veri. Per questa ragione inutile parlare di queste macroscopiche inesattezze.
Si parla anche di Fanfani, del presidente statunitense, di quelli di mezza Europa che avrebbero dovuto fronteggiare la Francia per salvare i due chilometri quadrati del Principato, e tante altre cose vengono dette e difficilmente comprovate dalla realtà dei fatti.
Viene dunque spontaneo pensare quale possa essere il valore di un biopic come questo dove nulla viene aggiunto a quanto si sapeva della Principessa, in cui non esiste credibilità storica, dove ogni cosa ha il sapore di melodrammi televisivi in cui anche i ricchi piangono.
Olivier Dahan non sa o non vuole creare una fiaba classica, non cavalca con bravura nemmeno il melodramma o il feuilleton, non riesce a creare personaggi realmente interessanti salvo il prete e il maestro di cerimonie. Sembra che col buon budget a sua disposizione si sia divertito a distruggere ogni possibilità narrativa e, perché no, di grande successo al botteghino.
Grace come Lady Diana, un matrimonio infelice e sfortunato, amate dal popolo, capaci di trasformare la loro vita in una crociata per la beneficienza. In questa similitudine sperano i produttori, e forse avranno ragione loro.
Il film inizia col ciak finale di Alta Società (High Society), con l’abbandono del mondo hollywoodiano e della sua entrata ufficiale, sposando Ranieri, nella vera società che conta. Un buon inizio che non è stato poi sufficientemente bene sviluppato.
Nicole Kidman si impegna e riesce a rendere credibile il suo personaggio nonostante che la sceneggiatura faccia di tutto per renderla evanescente. Piange, piange moltissimo per dare il senso della sua infelicità dietro la parvenza dorata della sua vita. Non ha conforto dalla madre, vede poco il marito e quando si rivolgono la parola lui la rimprovera sempre. Ama i figli, è mamma perfetta e rinuncia a tornare a recitare per il bene del Principato e della sua famiglia. Le mancano le coordinate da parte del regista, ma con grande mestiere esce quasi vincitrice anche da questa prova.
Tim Roth poco fa e poco appare nel ruolo di Ranieri III. Sembra quasi che viva in un mondo parallelo a tutti gli altri interpreti, recitando in maniera distaccata rendendo antipatico e poco interessante il bel Principe.
Il personaggio più importante, dopo Grace, è Padre Tucker interpretato da Frank Langella in maniera accettabile. È lui il consigliere di Ranieri, è lui che muove le fila politiche di Monaco, è lui consulente della bella ex attrice. Nulla di eccezionale, ma una prova di buona professionalità
Il conte Fernando D’Aillieres interpretato da Derek Jacobi è l’uomo che insegna a Grace tutto del cerimoniale, ma il suo personaggio è spesso ridicolo. Tra le tante cose, dice alla ex attrice che il ruolo di Principessa sarà il più difficile della sua carriera e la sprona a recitare al meglio delle sue capacità.
Il peggio in assoluto lo si ha con Onassis e Maria Callas, affidati a Robert Lindsay e Paz Vega: sono i padroni del Principato e lei è sempre vista come Grace vorrebbe essere, potente e ancora impegnata nel mondo dell’arte.
Per concludere, terribili gli avatar dei vari personaggi famosi, da Hitchcock a De Gaulle o a Robert McNamara.
TRAMA
Nel 1956 Grace Kelly abbandona Hollywood per sposare il principe Ranieri di Monaco. Sei anni dopo, la principessa tenta di conciliare il desiderio di tornare sul grande schermo per Marnie di Alfred Hitchcock col suo ruolo di madre di due bambini nonché regnante su un Principato europeo e moglie del Principe Ranieri III. L’esplosiva crisi internazionale dopo la Guerra in Algeria e il rischio di invasione del Principato da parte della Francia rappresentano una minaccia sia per il Principato che per la sua famiglia. Davanti alla gravità della situazione, rinuncerà per sempre a tornare al cinema.
di Redazione