Good Night, and Good Luck

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good_night_good_luck-5mdInfelice il paese che ha bisogno di giornalisti coraggiosi, i soli (sembra) capaci in certi momenti di difendere istituti ovvii ed essenziali della democrazia, quali la libertà d’opinione, la convivenza civile, la giustizia, la solidarietà. E infelice quella società in cui la democrazia ha confini così labili da essere decisi dagli sponsor e dai budget pubblicitari. Con Good Night, and Good Luck , George Clooney racconta con lo slancio del grande cinema civile la battaglia condotta nel 1953, contro McCarthy, da Ed Murrow e dai suoi valorosi colleghi della CBS, e mette così le mani nel cuore vero del problema, che è la fragilità della democrazia. Una condizione di debolezza patologica e apparentemente irrisolvibile, dagli anni bui del maccartismo e della guerra fredda, in cui tutto era più esplicito e conflittuale, al disincanto e alla distrazione del presente in cui sembra aver vinto proprio il fantasma evocato dal film, ovvero un’informazione usata “per distrarre, illudere, divertire e isolare”.

Con Good Night, and Good Luck si parla dunque di ieri – l’attività del senatore McCarthy e delle sue famigerate commissioni – per alludere a ciò che accade oggi, che è sempre lo stesso: il compromesso al ribasso, l’autocensura, il pregiudizio ideologico, l’isolamento, la prevaricazione, il tornaconto di chi finge di non vedere o preferisce distrarsi.
Da buon americano, George Clooney denuncia il male ma parla soprattutto degli anticorpi in azione, che sono quelli di una democrazia che non demorde, e che alla fine riesce a vincere e sopravvivere. Certo, nella lotta, ci sono perdite irrimediabili e ferite (mobbing, licenziamenti, infelicità, suicidi) ma c’è anche la voglia di andare avanti comunque.

Non è per caso, però, che Clooney termina il suo film con Murrow apparentemente vittorioso che ritira un premio, mentre già si annunciano allarmi ancora più insidiosi, ricominciano a circolare liste di proscrizione e appelli “patriottici” da sottoscrivere.
Vero punto di forza del film sono le immagini cinematografiche del tempo, in cui vediamo il senatore McCarthy in azione, le sue espressioni, la sua voce, il suo odio. A quella estetica di cronaca giornalistica si adegua tutto il film, con un bianco e nero smagliante e una grammatica di primi e primissimi piani, un ritmo stringente e una serie di ambienti e spazi stretti e claustrofobici. Poco, quasi nulla è concesso allo spettatore, come anche alla vita privata dei protagonisti (solo un paio di scene casalinghe), solo riunioni di lavoro, decisioni da prendere, responsabilità da assumere. Un grande film, che sembra quasi miracoloso di questi tempi. E il fatto che il giornalista Murrow (grandissima interpretazione di David Strathairn) affronti la battaglia a viso aperto, sempre tenendo una sigaretta accesa bene in vista, mi fa amare ancora di più (da non fumatore) il suo attacco contro l’intolleranza.


di Piero Spila
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