Good Bye Lenin

good bye lenin

good bye leninEcco un film che sopra un grande evento, un evento epocale, la caduta del Muro di Berlino, costruisce un’ipotesi narrativa che possiede la cadenza di un apologo in forma di commedia amara sulla inevitabilità della Storia nel suo processo evolutivo, servendosi di un espediente narrativo che guarda all’ultimo Almodóvar, (il coma temporaneo di una donna, che tra l’altro assomiglia moltissimo a Cecilia Roth, intelligente pedagoga, fedele al regime comunista che non potrebbe al suo risveglio sopportare il cambiamento avvenuto). Per questa ragione il figlio, nella speranza che un giorno o l’altro si risvegli, escogita degli stratagemmi (assolutamente spassoso quello dei finti telegiornali), per evitarle il trauma del cambiamento.

Commedia dei sentimenti e di trasformazioni sociali, mescolati con sense of humor assai poco tedesco, il film di Wolfgang Becker rifiuta di scavare nelle pieghe della realtà politica, sociale e quotidiana di una nazione che assiste con allegria feroce o con soddisfazione e timore alla caduta di un regime durato quarant’anni, piuttosto ne distilla il significato collettivo attraverso una vicenda individuale abilmente costruita e destinata (forse troppo) a suscitare applausi. Piacere ad ogni costo, infatti, non era certo l’imperativo del cinema tedesco degli anni ’70, assai più attento alla realtà rappresentata e alla sua dimensione linguistica.

good bye leninSebbene l'”invenzione” di una Berlino comunista immaginaria dove affluirebbero berlinesi dell’ovest delusi dal capitalismo suggerisca più d’una riflessione sulla dimensione umana di un regime politico colto sul punto di cadere per sempre, il tono generale è quello della pacificazione degli animi e dei sentimenti politici, in nome di una riunificazione civile e democratica, moderatamente capitalistica, sebbene la questione sia ben più complessa. In altre parole si è cercato, e con successo, di restare in superficie, nella convinzione che questa possa essere lo specchio fedele di ciò che avviene in profondità, mentre da un punto di vista strettamente filmico le immagini “mancanti”, magari “rubate” alla cronaca quotidiana, contano assai più delle parole o delle trovate, anche se argute. Ma la sequenza in cui la donna passeggia per la città che non ha mai visto prima, fra automobili di lusso, mongolfiere pubblicitarie, i suoi vecchi mobili abbandonati come rottami e altri segni del nuovo sistema, è fra quelle che restano nella memoria per il sottile rapporto che si instaura tra libertà individuale e destino collettivo.


di Maurizio Fantoni Minnella
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