Following
La recensione di Following, di Christopher Nolan, a cura di Gianlorenzo Franzì.
Soggetto, sceneggiatura, produzione, (collaborazione a) fotografia e montaggio: Following è quasi un one man show per Christopher Nolan, che esordisce al cinema con questo film del 1998, budget bassissimo -6.000 sterline, oggi 9.000 euro circa- e durata risicata -70 minuti- per la storia di un aspirante giovane scrittore che passa le giornate seguendo gli sconosciuti per strada. Finchè un uomo misterioso, Cobb, si accorge di lui e gli chiede spiegazioni. Inizia allora a raccontare delle regole che si è autoimposto: regole su chi deve seguire e per quanto tempo, di come si sia fatto intrigare proprio da quest’uomo misterioso per la sua borsa in pelle.
Fin dal suo esordio, acerbo ma già ben definito in un’estetica precisa, Nolan presenta il racconto dei suoi personaggi frantumando l’ordine cronologico delle vicende andando avanti e indietro nel tempo, per creare un disorientamento di fondo in uno spettatore costretto, a metà film, a rielaborare quanto visto per dare un senso compiuto alla storia.
Il percorso del regista londinese inizia da qui, fin dall’inizio affascinato dai diversi aspetti della moralità umana e dalla costruzione (s)oggettiva del tempo dipendentemente dalla natura malleabile della memoria e dell’identità personale.
La trilogia sul Cavaliere Oscuro, il capolavoro The Prestige, i fondamentali Inception e Tenet, il seminale Memento, il pleonastico Interstellar, fino alla maturità completata di Oppeneheimer: tutto parte da Following, in maniera molto coerente e lineare e soprattutto ostinatamente, fieramente, istintivamente e naturalmente autoriale nel senso più forte del termine. Perché Following è insieme un giallo nerissimo che tiene incollati fino all’ultimo e una riflessione sullo sguardo e sul genere, mentre si interroga sulla necessità del cinema come medium di spiare e di intrattenere allo stesso tempo.
Approfondendo ogni termine, ogni concetto, fino a profondità abissali: parte da qui l’ossessione tutta nolaniana per la dialettica tra verità di ciò che si può vedere e illusione di ciò che si crede di vedere, una dialettica che si sviluppa in una storia interpretata da un personaggio che si sdoppia, una sorta di doppelganger che si incarna in due figure. Che sono poi rappresentazioni simboliche del cinema stesso: il pedinatore voyeur come spettatore, Cobb è il cinema che però lo inganna e lo manipola, esercitando il potere supremo e fortemente allegorico di mostrare al pubblico solo ciò che egli desidera. Ed è qua tutta la forza del cinema di Christopher Nolan, che deflagrerà in maniera sempre più roboante in seguito: quella di un cinema consapevole del proprio potere che impone il controllo sulla visione dello spettatore attivo/passivo.
di Gianlorenzo Franzì