Sick of Myself
La recensione di Emanuele Di Nicola, seguita dalla rassegna stampa a cura di Simone Soranna riguardo a Sick of Myself, di Kristoffer Borgli, Film della Critica per l'SNCCI.

Sick of Myself di Kristoffer Borgli distribuito da Wanted Cinema è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:
«Attaccando frontalmente alcuni dei grandi mali delle società occidentali contemporanee, la sorprendente opera prima del norvegese Kristoffer Borgli mette in scena affilatissime, spietate, mai compromissorie sequenze, senza perdere la compassione umana. Il risultato è un film dove il grottesco e il surreale, la risata e l’orrore sono portati verso estremi che sembrano venire direttamente dal cinema di Marco Ferreri».

La recensione
di Emanuele Di Nicola
Playing the Victim. L’espressione, già portata sullo schermo nel film omonimo di Kirill Serebrennikov, si attaglia esattamente a Signe, la protagonista di Sick of Myself: fare la vittima. Il titolo del norvegese Kristoffer Borgli, presentato a Cannes 2022 nella sezione Un Certain Regard, viene incentrato su questo e in questo trova la ragione di essere, il suo cuore pulsante. Si tratta di una black comedy sostenuta da Kristine Thorp splendidamente in parte: è una giovane donna che vive una relazione complessa con Thomas, perché nutrita di una latente competizione, viene trascurata dal ragazzo artista contemporaneo e passa le giornate a servire caffè come cameriera di un bar. Signe vuole essere sempre al centro dell’attenzione. Questo il problema, la questione primaria, il tarlo che la rode: non accetta minimamente che la lente venga spostata verso altro, che non sia se stessa, e per ottenere tale centralità è disposta a tutto. Dice qualche bugia o gonfia i racconti, ma quello sarebbe ancora normale.
L’illuminazione arriva per un episodio che la investe nel locale: una donna, morsa da un cane, si presenta madida di sangue e viene soccorsa proprio da Signe, ripresa da cellulari e pronta alla condivisione sui social. La giovane torna a casa vestita di arabeschi vermigli, qui finalmente viene notata dal partner: “Sei ferita?”, le chiede a più riprese. Ecco che arriva l’agnizione: essere ferita conviene, bisogna stare male per stare sempre al centro. È così che Signe sceglie di ammalarsi. Assume un farmaco rischioso, sperimentale, che in teoria non dovrebbe avere conseguenze clamorose ma nella pratica inizia a deturparle il viso. Da qui il titolo, “malata di se stessa”, ma anche per colpa di se stessa, ovvero per una patologia auto-indotta, per una pillola che ingoia da sola. Quando a seguito di una crisi viene ricoverata in ospedale peraltro la ragazza è delusa: “Cinquanta messaggi e basta?”. Si aspettava una maggiore compassione, ce l’ha a morte con l’amica che non si presenta al capezzale. Ma ormai il passo è compiuto, indietro non si torna, inizia una discesa agli inferi che rende labile la linea tra realtà e immaginazione, sfiorando l’horror e perfino lo splatter.
Senza spingersi oltre nello svolgimento dei fatti, che va lasciato al singolo sguardo, un dato è certo: Sick of Myself è un piccolo grande film sull’auto-rappresentazione. Persone che parlano di sé e si definiscono da sole, senza che nessuno glielo chieda, sempre e solo secondo loro: il presente cinematografico ne è pieno, in tracce più o meno implicite, in ultimo il sicario Fassbender in The Killer di Fincher, che parla e straparla della sua infallibilità per poi sbagliare il colpo. Ma il personaggio che più ricorda Signe ce l’ha offerto il nuovo cinema greco, in Miserere di Babis Makridis (titolo originale: Oiktos, compassione, appunto), la storia di un avvocato che scopre la bellezza di essere compatito e ci prova in tutti i modi (“Mia moglie è in coma e ha anche un tumore!”). Seppure su altre latitudini, è un gemello diverso di Signe. La parabola di Sick of Myself incontra i social network, come detto, ma anche il circo mediatico dei programmi televisivi e delle riviste di moda, che si cibano delle modelle “strane”, che siano chubby o deformi, per ingrassare le loro cover. Tutto ciò va ad inscenare la vera malattia del nostro tempo: la ricerca folle di attenzione. Quanti ne conoscete così? Finora non esiste vaccino.

Una breve rassegna della stampa italiana sul film
(a cura di Simone Soranna)
La critica italiana si è espressa in maniera piuttosto compatta a favore di Sick of Myself. Il film firmato da Kristoffer Borgli ha convinto e sorpreso lasciando denotare un talento da tenere sicuramente presente per gli anni a venire.
Proprio in merito alla regia, Claudia Catalli loda la pellicola su MyMovies: «Borgli dimostra già una maturità espressiva e stilistica notevole, forte di una storia capace di rimanere impressa grazie al soggetto originale e solido di partenza». Le fa eco Teresa Marchesi la quale, sulle pagine di Huffington Post, descrive l’opera come «il film d’esordio di Kristoffer Borgli, autore-rivelazione del nuovo cinema norvegese scoperto dal Festival di Cannes, che l’ha promosso in concorso a Un Certain Regard. Borgli in realtà aveva già firmato nel 2017 un documentario di finzione, Drib, sulle perversioni del marketing contemporaneo», e consiglia la visione a «chi ama guardare il Terzo Millennio attraverso la lente grottesca, comica e tragica insieme, di Ruben Ostlund (da The Square a Triangle of Sadness)».
Anche Fabio Ferzetti è del medesimo parere. Infatti, su L’Espresso, il critico afferma che Sick of Myself si avvale del medesimo «tipo di satira affilata, nonché puntata sulle zone più intime, che ha reso celebre lo svedese Ruben Östlund (Forza maggiore, The Square, Triangle of Sadness). I personaggi del norvegese Kristoffer Borgli, restano però sempre un poco “teorici”. Schemi concettuali. più che figure in carne e ossa».
Vittorio Renzi, su Quinlan, descrive così l’operazione: «la viralità e il bisogno di apparire per essere sono al centro di Sick of Myself, opera seconda del giovane norvegese Kristoffer Borgli presentata in Un certain regard al Festival di Cannes 2022, una commedia nera cinica ma mai gratuita e in odore di horror, non priva di qualche difetto, ma pienamente centrata sul contemporaneo».
Anche Federico Gironi, su ComingSoon, si concentra su questo aspetto andando più a fondo. Scrive così il critico: «Sick of Myself parla di narcisismo. Di quel narcisismo fatto di brama di attenzione, e di fama, e di immagine, che è uno dei grandi mali della società contemporanea da alcuni decenni a questa parte, e da quando ci sono i social non ne parliamo nemmeno. Il narcisismo è una malattia, e quindi ecco che l’esordiente Kristoffer Borgli (che ha conquistato un meritato Premio Amanda “l’Oscar norvegese” per la sceneggiatura, ma che gira e inquadra e monta con occhio elegante e intelligente, e impagina molto bene il suo copione sullo schermo) la presenta letteralmente come tale».
di Emanuele Di Nicola