Il cielo brucia
La recensione di Elisa Baldini, seguita dalla rassegna stampa a cura di Simone Soranna riguarda a Il cielo brucia, di Christian Petzold, Film della Critica per l'SNCCI.
Il cielo brucia di Christian Petzold, distribuito da Wanted Cinema, è stato designato Film della Critica dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani – SNCCI con la seguente motivazione:
«Una casa sul Baltico, un bosco minacciato dagli incendi, quattro giovani alle prese col desiderio, l’arte, la scrittura, più un quinto incaricato di ricordarci che il tempo non risparmia nessuno. Un occhio a Rohmer, un altro a “Teorema”, Christian Petzold intreccia con ammirevole economia di mezzi e un pugno di attori straordinari una luminosa riflessione sull’amore, il destino. E quella gabbia di aspettative, talenti, idiosincrasie che forgia il carattere e la vita di ognuno di noi».
La recensione
di Elisa Baldini
Leon (Thomas Schubert), scrittore in procinto di editare il suo secondo romanzo, ha sempre l’aria stropicciata come se lo avessero appena svegliato o se gli accidenti della vita lo distogliessero continuamente da un filo aggrovigliato di pensieri ben più importanti. Nella sua testa (non è un caso che il film si apra e si chiuda sulle note di In My Mind dei Wallners) Leon ha scritto il romanzo perfetto, e si merita l’amore incondizionato dell’amico Felix (Langston Uibel) della bella ospite a sorpresa della sua casa al mare, Nadja (Paula Beer), e di Helmut (Matthias Brandt), l’editore che, sempre nella sua testa, è un padre iper amoroso il cui unico scopo è rincuorarlo sul fatto che è al centro di tutto, e che presto anche lui avrà una camera dedicata in un albergo come Uwe Johnson.
La vita, e la sua manifestazione più selvaggia e imprendibile, la natura, sono una scocciatura non da poco per Leon: il verso degli uccelli nel bosco lo spaventa, i sospiri di un amplesso lo irritano, la bellezza di Nadja lo turba, il sole lo scotta. Tutto, nel mondo, sembra volerlo distrarre dal suo meraviglioso poema interiore. Leon abita il controcampo e osserva gli altri da lontano, attraverso i muri, dalle porte socchiuse, dietro le finestre, e a poco a poco si accorge che dentro a quelle pagine così fitte del romanzo della sua testa la vita non c’è.
Christian Petzold, dopo l’acqua di Undine, utilizza qui il fuoco come pretesto simbolico per parlare dell’amore. Quello ostinato, profondo, incosciente e selvaggio, che comporta un parziale annullamento di sé ed è privilegio di chi non ne teme le conseguenze più nefaste. Unico atto creativo possibile. Ed infatti Leon, protagonista di questo film che perde delicatamente il passo della commedia per incontrare la tragedia come se fosse una rivelazione, scriverà il suo libro vivo e al sicuro, contemplando da lontano il cielo rosso, mentre altrove l’amore brucia.
Una breve rassegna della stampa italiana sul film
(a cura di Simone Soranna)
Presentato alla Berlinale 2023 e, in Italia, al Torino Film Festival, Il cielo brucia è stato accolto positivamente dalla stampa italiana, nonostante (oppure proprio grazie a) la sua dimensione piuttosto enigmatica. Come sottolinea Fabio Vittorini su Duels, «l’intento di Petzold, che del film è anche sceneggiatore, è quello di liberare i suoi personaggi da ogni condizionamento e lasciarli da soli con le loro fiamme e in definitiva con se stessi. La conclusione però è poco prevedibile perché, come accade anche nella vita, non è detto che chi prima lascia divampare le proprie fiamme sia poi in grado di tenerle vive a lungo…». Anche Gian Luca Pisacane, sulle pagine di La rivista del Cinematografo, accosta la pellicola a una dimensione meno decifrabile come quella delle emozioni. Scrive così il critico: «amare significa accendersi, per poi spegnersi lentamente, fino a raggiungere l’oscurità, magari l’oblio. Lo sapeva bene Heinrich Heine, quando scriveva: “Mi chiamo Mohamèt, nacqui nell’Yemen, son degli Asra, quei che muoiono quando sono innamorati”. La poesia è l’Asra, non a caso la preferita di Paula Beer, diva teutonica al pari di Sandra Hüller, nell’intenso nuovo film di Christian Petzold».
Alessandro Uccelli, su Cineforum, inserisce il film all’interno del percorso unico e stimolante di Petzold: «”In my mind/In my mind/Love’s gonna make us, gonna make us blind/We’ll be living in a place we like/What’s gonna make us/Gonna make us find?” questo è il testo di In My Mind (Nella mia mente) canzone dei Wallners, una band dreampop viennese, che apre e chiude Roter Himmel (Cielo rosso), il nuovo film di Christian Petzold. Nulla è lasciato al caso nel cinema (e nella TV) del cineasta berlinese (d’adozione), lo avevamo già ricordato in occasione dell’uscita del suo Undine: alla fine della proiezione, le parole di questo brano, lo stato mentale che queste evocano, sono lì a ricordare che quella che si è appena vista è un’opera di finzione, e come tale è generata innanzitutto nella mente del suo autore, che decide di dotarla di un’intonazione delicatamente atemporale, di uno switch narrativo potente, di un gruppo di personaggi che risuonano con altri personaggi che l’autore stesso ci ha regalato negli ultimi decenni».
Gli fa eco Roberto Manassero, che sulle pagine di Film Tv prova a collocare Il cielo brucia nel percorso dell’autore notando una certa evoluzione del suo sguardo. Scrive così il critico: «con il suo stile semplice e trasparente il tedesco Christian Petzold è diventato negli anni un vero regista classico: diretto nel tono ed essenziale nei modi. Il suo è un cinema di pura superficie, evidente nella propria dimensione artificiosa, metalinguistico e antipsicologico. Il cielo brucia è, se possibile, ancora più essenziale di altri suoi lavori, con un protagonista, lo scrittore Leon, che funziona da sguardo interno, da spettatore e testimone di una realtà misteriosa che assume via via i connotati di un racconto».
Michele Gottardi, invece, su Il Mattino di Padova, sposta l’attenzione su una dimensione più socio-politica della pellicola: «a bruciare nel cielo di Christian Petzold sono soprattutto le speranze e i sentimenti di esistenze un po’ marginali, tra la Polonia e la Germania, verso il Baltico».
di Elisa Baldini