Ferro 3 (Binjip)
Se Primavera, estate, autunno, inverno.. e ancora primavera era un film sull’affermazione di sé, sull’equilibrio e l’armonia da raggiungere con gli altri e col mondo, il nuovo film di Kim Ki-duk, Ferro-3, è invece un film sull’autosottrazione, sull’assenza e l’invisibilità. Dunque un film visivamente meno elementare (e raffinato) ma più astratto e per certi versi spiazzante, un film che sembra andare in una direzione e poi all’improvviso ritorna sui suoi passi, confonde le idee, insinua dei dubbi.
Il protagonista del film, Tae-Suk, è una specie di angelo caduto in terra (non si sa chi sia e da dove venga), gira in moto tutto il giorno e di nascosto prende possesso di case momentaneamente disabitate, le usa come fossero sue, ci dorme, ci mangia e rende piccoli servigi compensativi ai proprietari assenti (lava la biancheria, ripara piccoli utensili, pulisce). Poi sparisce, alla ricerca di un altro domicilio. Quasi una grazia per i padroni ignari, una specie di misteriosa e ossessiva missione per Tae-Suk.
Facile capire che le case invase sono un’entità metaforica e che l’aspirazione di Tae-Suk è cannibalica e ascetica insieme: ha bisogno di un’identità (quella di chi ignaro lo ospita) ma se ne vuole anche subito liberare. Insomma tante identità per non averne nessuna. Non si tratta di un fantasma che vuole diventare un uomo (vedi Il cielo sopra Berlino di Wenders), è esattamente il contrario: è un uomo, con le sue debolezze (ama giocare a golf, desidera le donne, si masturba) che aspira a diventare un fantasma, perdere corporeità, visibilità e, alla fine, librarsi in volo, sparire. Il problema è che non si tratta di un percorso indolore, perché costellato di gaffes, atti mancati, brutti incontri (un padrone di casa che lo prende a pugni, un marito geloso che vuole vendicarsi, un poliziotto violento), addirittura un omicidio. Perché Tae-Suk sarà pure un aspirante fantasma, ma intanto combina un sacco di guai. Malgrado abbia trovato una bella ragazza che lo ama, insiste ad allenarsi imprudentemente agli angoli delle strade al golf, e con una palla colpita con violenza (con il “Ferro-3” del titolo) uccide addirittura una povera automobilista innocente. La fa franca, ma viene messo in carcere per un omicidio che invece non ha commesso. Non è un’espiazione, è piuttosto la spinta per la definitiva trasfigurazione. La cella infatti resta vuota e Tae-Suk torna a visitare (non visto) la sua innamorata finalmente felice.
Ferro 3 sarebbe uno splendido soggetto per una commedia brillante (in effetti qualche involontaria risata ci scappa), purtroppo Kim Ki-duk non è per nulla uno spirito ironico e prende tutto sempre molto sul serio. Alla fine del film mette persino una dedica, per chi non avesse capito, sull’aleatoria arbitrarietà della realtà e del sogno.
Il film è piaciuto molto ai festival cui ha partecipato e talvolta è stato salutato con toni trionfalistici. Sarei più cauto. Il film è didascalico e un po’ sbilenco, ma è girato benissimo come sa fare il prolifico Kim Ki-duk (una media di più di un film all’anno) e sa offrire anche qualche emozione autentica.
di Piero Spila