Enzo Jannacci – Vengo anch’io
La recensione di Enzo Jannacci - Vengo anch'io, di Giorgio Verdelli, a cura di Guido Reverdito.
A dieci anni dalla sua scomparsa, il documentario di Giorgio Verdelli traccia un ritratto a tutto tondo di Enzo Jannacci, uomo di spettacolo ma anche persona. E lo fa sfruttando non solo materiali originali mai visti prima e l’archivio messo a disposizione dal figlio Paolo, ma soprattutto le testimonianze di molti artisti che di Jannacci sono stati compagni di viaggio e che nei propri interventi ne riconoscono il ruolo insindacabile di maestro assoluto di almeno un paio di generazioni di cantautori di casa nostra.
Tra le tante e diverse interviste, toccante quella di Roberto Vecchioni: seduto simbolicamente su uno di quei tram milanesi che Jannacci usò spesso come metafora della vita, definisce l’amico e collega come “l’unico grande genio musicale della canzone che abbiamo avuto in Italia”.
Ironico e tagliente nel suo rappresentare il mondo in musica e parole (sempre sospese tra l’abbandono alla malinconia e il rifugiarsi nel surreale), in quasi quarant’anni di carriera Jannacci ha saputo spaziare dal cabaret al palcoscenico musicale, da quello teatrale al piccolo schermo della TV di Stato. Unendo sempre un estro imprevedibile a un profondo
senso di umanità.
Un senso, questo, che aveva un suo perché nella straordinaria parabola esistenziale di Jannacci, il quale non smise mai di ripetere di essere un medico più che un uomo di spettacolo. Lui che era un brillante cardiochirurgo vascolare specializzatosi in trapianti di cuore con l’equipe di Barnard in Sudafrica e che per anni conobbe il dolore vero della gente facendo il medico di famiglia.
Arrivato al suo quarto documentario biografico su grandi nomi del mondo della musica (dopo quelli dedicati nell’ordine a Pino Daniele, Paolo Conte ed Ezio Bosso), anche in questa biografia per immagini e ricordi Verdelli rifugge dal calligrafismo asettico di certa documentaristica, scegliendo un ritmo sincopato che alterna interviste a materiali originali. E che sembra quasi voler riprodurre quel modo tutto suo che Enzo Jannacci aveva di convivere con le proprie molteplici anime, alternandole a raffica col preciso intento di confondere il pubblico in un caleidoscopio di emozioni in transito frenetico.
di Guido Reverdito