Enea
Le recensioni di Enea, di Pietro Castellitto, a cura di Gaia Serena Simionati e Arianna Vietina.
La recensione
di Gaia Serena Simionati
Il tema primario è quello delle conseguenze del sottobosco criminale, applicate alla vita di tutti i giorni, in una Roma opalescente, smargiassa, piena di figli di papà. L’opalescenza, che è un tipo di dicroismo che appare in sistemi molto dispersi, con poca opacità, come quello descritto, ben si presta a narrare questo materiale filmico che acquista un aspetto bifocale e lattiginoso, pur avendo interessanti rifrangenze e iridazioni. Una sorta di rifrangenza è l’amore tra fratelli. Lo è anche l’amore tra due amici e lo è il contrasto di vita agiata, contro vita familiare e quindi criminale improvvisata.
Un film è come una palafitta. Per stare in piedi si sorregge infatti con tanti ‘tasselli’. Musica. Luci. Fotografia. Scrittura. Dialoghi. Doti attoriali. Questi sono i suoi paletti. Come vincastri. La musica però è il palo più grosso: è come la cornice di un quadro. Se stona, diventa pacchiana, inadatta. Rischia di rovinare anche il quadro stesso e rischia di far crollare il resto. Come una cravatta sbagliata.
Ed è questo il caso di Enea, che pur avendo buone intuizioni, sia tecniche che visive, eleganza immaginifica, un po’ a là Sorrentino, è “sorretto” (si fa per dire) da un accompagnamento musicale totalmente piatto, banale. Questo riesce a obnubilare e stordire gli altri sensi dello spettatore, appiattendo gli intenti, seppur buoni.
Il diavolo si nasconde nei dettagli. Ma sono proprio i dettagli ciò che fa la differenza. Nel cinema, come nella vita! Ci fosse stato un Marchitelli qualunque, il film avrebbe tutt’altra piega. La musica è errata. Qui curata da Niccolò Contessa, è smaccatamente melensa, catchy, un po’ furbetta e debole, spesso inconsistente. I brani noti come Maledetta primavera, diventano smargiassi, triti e ritriti, risultando così stomachevoli. E in Spiagge banalmente si reiterano i temi del film: nostalgia, giovinezza, voglia di vivere, l’estate che finisce. Che noia.
ll film colpisce però per molte idee originali, a tratti pixellate. O mal riposte. Una lettera ben scritta, dinamica e potente. La vitalità e il desiderio di sentirsi vivi. Originali palme che cascano. Incontrovertibili lezioni di yoga mastermind. E lo sbarramento di auricolari perenni, che confermano la disbiosi tra l’interno e l’esterno di questi giovani, tra il dentro e il fuori, l’apparire o l’essere. Storditi.
Poi i personaggi crescono (male), cercando di assumere una forza, per lo più simbolica, mantenendo quella che oggi imperversa: una spessa amorale, inquietudine esistenziale, che però li annienta. Si palesa un malessere dei giovani che scalpitano, desiderando potere, avventura, l’indomito. Il cast è ottimo e gli attori sono ben diretti. Sorprendente come l’esordiente Giorgio Quadro Guarascio sia più bravo in tale ruolo, che come cantante, suo vero lavoro.
La recensione
di Arianna Vietina
Da un punto di vista teorico Enea, il nuovo film di Pietro Castellitto, prosegue la riflessione iniziata con I Predatori e ragiona sul ruolo critico dei millennials, una generazione incapace di svincolarsi dall’eredità dei genitori, il cui desiderio di emancipazione è represso costantemente e porta a improvvisi colpi di testa. Enea è figlio della Roma bene, ha un ristorante di sushi, gioca a tennis, è conosciuto in tutti i locali e spaccia cocaina con la tranquillità con cui da bambini si gioca coi soldatini. Accanto a lui il migliore amico Valentino è appena diventato pilota, ma neanche in volo si sente libero. Si fanno forza l’un l’altro, ne hanno bisogno per tenere insieme i frammenti brutali delle loro identità. Attorno a loro i boomer, simbolicamente interpretati dai genitori di Enea, il cui padre esplicita in una frase la distanza epocale tra i loro due mondi: “Io sono nato povero, tu no”; e dall’altra parte la Gen Z, incarnata invece dal fratellino sedicenne che idolatra il popolare fratello, ma preferisce le sigarette vere allo svapo. Ogni personaggio vive con le proprie frustrazioni, a cui da sfogo in modi diversi e specifici per la loro età e visione del mondo, e sagacemente orientati verso l’autodistruzione. La vera costante intergenerazionale nell’Italia dipinta da Castellitto.
Sul piano della realizzazione, continuo a vedere una certa immaturità e quella stessa incapacità di andare avanti tipica della nostra generazione. Castellitto eredita i soggetti e le atmosfere del cinema italiano dell’ultimo decennio: onnipresenti opulente feste, musica pop e recuperi di grandi classici della musica italiana sparati a tutto volume, volgarità verbali, violenza gretta, l’imperversante malavita, un tono comico tendente al ridicolo, un grottesco gusto per l’assurdo. Confermo la mia teoria sul fatto che Castellitto abbia un ottimo gusto estetico e tecnico per inquadrature e movimenti di macchina, sicuramente formato con innumerevoli visioni e letture, che però pare usare per attestare una sua autorialità a ogni costo, senza che ci sia una vera continuità di stile. Il film diverte, il pubblico ha riso di fronte a battute agghiaccianti, sicuramente questo regista sa come attivare la platea con un tono provocatorio e al tempo stesso drammatico. Lo fa usando un inventario audiovisivo già visto e che appare retorico, ma d’altra parte come potrebbe fare altrimenti? È un trentenne anche lui. Il cinema di Castellitto se non altro è sincero, è quello che si vede, anche quando “se la tira”.
Mostra forse le contraddizioni emblematiche di una generazione?
di Gaia Serena Simionati e Arianna Vietina