Enea

La recensione di Enea, di Pietro Castellitto, a cura di Arianna Vietina.

Da un punto di vista teorico Enea, il nuovo film di Pietro Castellitto, prosegue la riflessione iniziata con I Predatori e ragiona sul ruolo critico dei millennials, una generazione incapace di svincolarsi dall’eredità dei genitori, il cui desiderio di emancipazione è represso costantemente e porta a improvvisi colpi di testa. Enea è figlio della Roma bene, ha un ristorante di sushi, gioca a tennis, è conosciuto in tutti i locali e spaccia cocaina con la tranquillità con cui da bambini si gioca coi soldatini. Accanto a lui il migliore amico Valentino è appena diventato pilota, ma neanche in volo si sente libero. Si fanno forza l’un l’altro, ne hanno bisogno per tenere insieme i frammenti brutali delle loro identità. Attorno a loro i boomer, simbolicamente interpretati dai genitori di Enea, il cui padre esplicita in una frase la distanza epocale tra i loro due mondi: “Io sono nato povero, tu no”; e dall’altra parte la Gen Z, incarnata invece dal fratellino sedicenne che idolatra il popolare fratello, ma preferisce le sigarette vere allo svapo. Ogni personaggio vive con le proprie frustrazioni, a cui da sfogo in modi diversi e specifici per la loro età e visione del mondo, e sagacemente orientati verso l’autodistruzione. La vera costante intergenerazionale nell’Italia dipinta da Castellitto.

Sul piano della realizzazione, continuo a vedere una certa immaturità e quella stessa incapacità di andare avanti tipica della nostra generazione. Castellitto eredita i soggetti e le atmosfere del cinema italiano dell’ultimo decennio: onnipresenti opulente feste, musica pop e recuperi di grandi classici della musica italiana sparati a tutto volume, volgarità verbali, violenza gretta, l’imperversante malavita, un tono comico tendente al ridicolo, un grottesco gusto per l’assurdo. Confermo la mia teoria sul fatto che Castellitto abbia un ottimo gusto estetico e tecnico per inquadrature e movimenti di macchina, sicuramente formato con innumerevoli visioni e letture, che però pare usare per attestare una sua autorialità a ogni costo, senza che ci sia una vera continuità di stile. Il film diverte, il pubblico ha riso di fronte a battute agghiaccianti, sicuramente questo regista sa come attivare la platea con un tono provocatorio e al tempo stesso drammatico. Lo fa usando un inventario audiovisivo già visto e che appare retorico, ma d’altra parte come potrebbe fare altrimenti? È un trentenne anche lui. Il cinema di Castellitto se non altro è sincero, è quello che si vede, anche quando “se la tira”.

Mostra forse le contraddizioni emblematiche di una generazione?


di Arianna Vietina
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