Educazione siberiana
L’ultima fatica di Gabriele Salvatores è fonte di discussione, di amore ed odio a seconda come vengano giudicate scelte di sceneggiatura e registiche. E’ un film che non lascia indifferenti, che costringe ad amarlo o ad odiarlo, peggio a considerarlo opera priva di interesse per l’eccessivo distacco di Salvatores da quanto raccontato. Tratto dal romanzo autobiografico (ma su questo fatto ci sono molti dubbi) di Nicolai Lilin, racconta con molti particolati di quella società parallela fatta di religiosità e di vita al di fuori della legge.
Nonostante che Lilin continui ad affermare che quanto scritto sia rigorosamente vero, viene sbugiardato da chi ha studiato e conosce bene la Transnistria e la comunità definita Urka Siberiani, dove è ambientata la vicenda, che vedono in questa pseudo storicità una presa in giro del lettore ed ora dello spettatore. Riferimenti precisi, nomi di fiumi, di villaggi e di persone, e poi numeri, date e dati con un’attenzione maniacale ai dettagli eppure nulla di vero, di riconducibile a fatti storici realmente accaduti.
La credibilità dell’autore partiva anche dalla sua biografia che parla di un russo naturalizzato italiano, stabilitosi a Milano dopo essere stato militare nelle truppe russe impegnate in Cecenia e avere lavorato per un’agenzia di sicurezza israeliana. Ora è uno scrittore che è anche strapagato tatuatore, come se lui fosse completamente calato nella tradizione della criminalità siberiana.
Tatuato come descritto nella storia in ogni parte del corpo visibile non si separa dal suo pericoloso coltello a scatto come nel suo libro, non appare mai nervoso o privo di controllo anche quando viene tartassato di domande su di lui come uomo e non come scrittore: sembra il prototipo dell’educazione siberiana che lui racconta. Ma, a questo punto, difficile capire se si sia costruito un personaggio di comodo per ottenere successo o se, effettivamente, racconti di se stesso.
Quello che è certo è che il romanzo vive ancora di luce propria, interessa, coinvolge, fa discutere e vende molte copie. Nelle mani di Gabriele Salvatores, regista anomalo del panorama italiano che tratta temi sempre diversi e si butta anche nei film di genere senza paura di mettere in gioco il suo meritatissimo Oscar, il romanzo perde molto della sua forza anche fisica: sembra contaminato dal suo modo di intendere il cinema fatto di un certo perbenismo narrativo e del timore di sporcarsi le mani con quanto raccontato.
Con temi violenti moralmente e visivamente forse sarebbe stato meglio rischiare di più, lasciarsi più coinvolgere raccontando dall’interno la storia e non ponendosi, invece, supra partes come un documentarista e non quale protagonista dei fatti narrati. Così si perde molto del fascino dark del romanzo che viene raccontato e non vissuto emozionalmente, con situazioni che passano sullo schermo senza poi interferire nelle nostre menti.Detto questo, il film di Salvatores è comunque innegabilmente di grosso interesse, non fosse altro per le splendide location lituane che donano un senso di rassegnazione ma anche di violenta reazione alle persone in esse inserite.
Il cinema delle repubbliche baltiche, le professionalità dei tecnici, la capacità di lavorare da artisti in situazioni estreme permettono, forse, di avere un minimo di curiosità per le interessanti produzioni autoctone che difficilmente appaiono sui nostri schermi. Senza queste collaborazioni ad alto livello, senza attori locali da lui fatti debuttare quali protagonisti nel film, probabilmente per Salvatores sarebbe stato difficile girare in quel mondo fatto di disagi climatici e probabilmente avrebbe maggiormente faticato nel capire certe situazioni di vita.
La scelta della produzione e, probabilmente, del regista è stata di servirsi unicamente di attori non italiani forse anche nel tentativo di rendere internazionale un film fin dalla sua gestazione e realizzazione. Molti gli attori anche locali come Andrius Paulavicius perfetto sergente russo, tutti gli attori padroni della lingua inglese in cui recitano proprio per creare un film immediatamente distribuibile in tutto il mondo.
John Malkovich è il vero protagonista, quantomeno lo è il suo personaggio di nonno Kuzya punto di carismatico ideologo dell’educazione siberiana considerata come una filosofia di vita e di morte. Bravo come sempre, fornisce il perno su cui ruotano tutti gli altri.
Peter Stormare è il Maestro del tatuaggio, il santone che è venerato come filosofo e storico che attraverso i suoi lavori tramanda e racconta il vissuto di ognuna delle persone che a lui si affidano. Un po’ di maniera ma efficace. Arnas Fedaravicius, giovane attore lituano che lavora prevalentemente per la televisione, è Kolyma, nipote di Kuzya. Racconta con freschezza il suo personaggio di bravo ragazzo che le tradizioni costringono a divenire assassino, ad essere quello che non vorrebbe essere.
Vilius Tumalavicius interpreta il ruolo più difficile, quello di Gagarin amico da sempre di Kolyma che tradisce la sua fiducia ma anche le regole di una società dura con se stessa e con gli altri, che spinge verso l’uccisione di poliziotti, militari e banchieri ma che non accetta la contaminazione della droga. Il suo volto trasmette emozioni, dubbi, vita, morte. Anche lui lituano, è al suo debutto come Fedaravičius in un lungometraggio: sicuramente un attore da seguire con interesse.Eleanor Tomlinson ha l’ingrato compito di tentare di dare credibilità a Xenja, personaggio femminile che sembra quasi creato per fornire un finale rassicurante ad una storia difficile e drammatica. Non ci riesce e offre al film una delle sue peggiori prove.
di Redazione