Dune – Parte due

La recensione di Dune - Parte due, di Denis Villeneuve, a cura di Gianlorenzo Franzì.

E se Dennis Villeneuve provasse a dirigere il film degli X-Men? Fermi tutti, è solo un’iperbole: ma nasconde il senso del cinema del regista di Dune – Parte due in sala dal 28 febbraio 2024 dopo un’attesa lunga ben tre anni dall’uscita del primo capitolo.

Se Dune era allora il classico blockbuster d’autore, gravato (non poco) dall’invevitabile “lista della spesa” necessaria a introdurre al pubblico l’opera letteraria di Frank Herbert, il cui Ciclo di Dune è una saga composta da sei libri, questo seguito dà campo libero al regista di scorrazzare sul pianeta Arrakis lasciando briglia sciolta alla sua inventiva onirica. Che forse è l’unica, oggi, a riuscire a immaginare mondi lontani nello spazio senza perderci lo sguardo né la mente; l’unica a poter inventare nuovi scenari, così come i cinecomics stanno lentamente colonizzando un certo tipo di (grande) cinema di intrattenimento, sempre più bisognosi quindi di registi teoricamente all’altezza.

Dune – Parte due allora è un film enorme in tutto: e se la durata è l’ultima cosa che viene in mente, visto il ritmo incessante (non sempre veloce, fa bene ricordare che un andamento può essere meditativo ma non noioso) con cui le quasi tre ore dispiegano la trama, è enorme l’apparato scenografico con cui una volta per tutte Villeneuve rende chiara la sua assoluta padronanza della messa in scena. Sontuoso come poche altre cose viste negli ultimi anni, il film è un cortocircuito mentre unisce il minimalismo del tono scelto con la spettacolarità dei panorami. È fuori discussione la capacità dell’autore di far parlare le immagini, perchè da Arrival in poi, è chiaro a tutti come lavora certosinamente e sapientemente sul segno cinematografico più puro: d’altronde, lui stesso ha dichiarato come -per lui- i dialoghi nei film siano sopravvalutati e la forza primigenia del mezzo Cinema risieda nel mettere insieme le immagini e il suono.

Allora, lo scontro tra i Fremen, gli Atreides e gli Harkonnen con in mezzo Paul Atreides parte all’inizio come un pretesto per poter allargare lo sguardo d’azione all’infinito; ma la fantascienza diventa poi il mezzo espressivo perfetto, forse l’unico possibile per Villeneuve, capace di unire sottotesti filosofici, ossessione verso la creazione, visioni politiche, riflessioni sull’attualità.

Così come Blade Runner 2049 e Arrival erano una fantascienza positiva, con lo sguardo fiducioso in avanti, questo Dune – Parte due dimostra invece una declinazione del presente che non può non tener conto del momento buio. È in questo modo che il film diventa un trionfo autoriale e un blockbuster ossessivo, rutilante, perfetto, capace di altezze vertiginose ed emozioni fortissime. Un’opera nella quale sembrano svanire anche gli attori, ma solo apparentemente: solo nella misura in cui Dave Bautista, Christopher Walken, Florence Pugh, Stellan Skarsgård, Charlotte Rampling, Javier Bardem, Lea Seydoux, Austin Butler, Josh Brolin e Zendaya perdono ogni grammo di polvere di stelle per diventare i loro personaggi. Peccato solo per il Paul di Timothèe Chalamet: un attore capace avrebbe saputo dare le diverse sfumature necessarie ma soprattutto assumere uno sguardo meno vacuo.


di Gianlorenzo Franzì
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