Dillo con parole mie

La capacità e l’inventiva di un regista, a volte, si vedono dalle piccole cose, dai dettagli. Così, quando si ha a che fare con una sceneggiatura non brillante, situazioni stereotipate, personaggi che mal si sottopongono ad un attento ed acuto approfondimento, a volte sono le sfumature a salvare un film. Forse questo è il caso di Daniele Luchettie il suo Dillo con parole mie.
Divertente, a tratti. Non velleitario, non presuntuoso. E per questo dignitoso. Un film che proprio grazie ai dettagli sembra fuggire dal destino altrimenti ineluttabile di trasformarsi in un grigio calco delle moderne mode cinematografiche italiane.
Certo, Dillo con parole mie è una commedia. “Che mal si concilia, come genere, con movimenti di macchina ricercati o con una fotografia elaborata” spiega lo stesso Luchetti. È una commedia fatta di parole, situazioni, equivoci. Non c’è altro. Ma soprattutto non vuole e non deve essere altro. Ricerca il sorriso, tenta di provocarlo nello spettatore. E se la si guarda con occhio privo di pregiudizio, ci si accorge che alla fine il sorriso lo regala. Quasi in silenzio, con molta leggerezza. Ci si accorge che il film è “vivo”.
Il soggetto e parte della sceneggiatura sono della moglie del regista, Stefania Montorsi, che ha voluto raccontare una storia velata di spunti autobiografici, una “commedia incantata, d’amore ”senza tante riflessioni e senza grandi segreti da svelare”
Poteva fare certamente di più, l’autore. Poteva infondere spessore nei personaggi. Poteva evitare di cadere in qualche luogo comune. Ma guardando il film si coglie tutta la sincerità che la famiglia Luchetti ha impiegato per scrivere e poi mettere in scena la sceneggiatura. Si colgono soprattutto l’amore e la passione che il regista ha per il cinema. Riuscendo a farsi perdonare di aver girato un film decisamente non indimenticabile.
di Edoardo Semmola