Dietro gli occhiali bianchi (Venezia Classici)

Dietro gli occhiali bianchi (quelli di Lina Wertmuller)  nasconde una donna e una artista raffinata e passionale, che ha saputo coniugare (dote assai rara in Italia), “impegno” e “divertimento”. Merito certo del suo particolare apprendistato giovanile, che avrebbe spaziato tra il musical di Garinei e Giovannini e il teatro colto di Giorgio De Lullo, ma forse anche di quella multiforme identità, tra Nord e Sud,  inscritta nei suoi geni, lei figlia di una romana e di un avvocato lucano dalle nobili origini svizzere. Di quell’apprendistato, una tappa decisiva sarebbe poi stato l’incontro con Fellini, di cui fu assistente per La dolce vita e 8 ½. Da Fellini, con cui condivideva, rivendicandolo, il senso del cinema come gioco, avrebbe ereditato la passione per i volti, per i casting  minuziosi, e l’intuito per le straordinarie scoperte attoriali.

Valerio Ruiz,  collaboratore già da diversi anni della Wertmuller, chiama a raccolta tante voci, oltre, s’intende, quella della protagonista:  registi, critici, attori, ma anche scrittori e studiosi, da Scorsese a La Capria, da Isa Danieli a Piera Degli Esposti, da Giannini alla Melato, dalla Loren a Harvey Keitel. Pur concentrandosi sulla sua carriera cinematografica, l’insieme  di queste testimonianze  rende bene la pluralità di linguaggi e registri che la Wertmuller ha saputo maneggiare in tanti anni di professione. Infatti, ha frequentato con disinvoltura anche il teatro, la radio, l’opera, e negli anni più recenti sempre più quella televisione che l’aveva già consacrata cinquanta anni fa con il celeberrimo Gianburrasca affidato al volto androgino di Rita Pavone (una scommessa televisiva che segnò anche l’’incontro con Nino Rota, Piero Tosi e tramite questi con lo scenografo e costumista Enrico Job, che sarà suo compagno di vita e sodale artistico).

All’inizio del film, Lina Wertmuller  ripercorrere ai nostri giorni il set ormai quasi irriconoscibile del suo folgorante esordio, girato tra Puglia e Basilicata,  con I basilischi (1963), che – come nota il sociologo Domenico De Masi – apparve allora come un ritratto fresco e lucidissimo del Meridione e dei suoi atavici guai – maschilismo, familismo, fatalismo. Ma ecco che la regista, rischiando,  fugge subito dal cliché del cinema d’impegno (anche se quel primo film, non mancava certo  di verve comica), da una parte proprio grazie al Gianburrasca e poi, nel cinema,  ribaltando il quadro verso una commedia sociale che avrebbe comunque sempre mantenuto sullo sfondo i grandi temi sociali e politici. Nascono da qua i suoi grandi film degli anni’ 70, da Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972) a Film d’amore e d’anarchia (1973), da Tutto a posto e niente in ordine (1974) a Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (il suo maggior successo al box office) a Pasqualino Settebellezze (1975), per il quale fu la prima donna candidata all’Oscar e che segnò l’amore degli USA per il suo cinema (lo ricorda nel film il critico suo grande ammiratore John Simon).

Ma è una fonte più che autorevole come Martin Scorsese che analizza i meriti di una regista che aveva un grande talento visionario cinematografico, dall’inquadratura al montaggio, e che rinverdiva l’antica tradizione italiana della “commedia dell’Arte”, nel suo mix sapiente di comico, straziante ma, soprattutto, “popolare”. Non è un caso se situazioni e battute dei suoi film di maggior successo divennero parte del linguaggio comune: si pensi all’insulto-anatema “buttana industriale” scagliato da Giannini alla Melato in Travolti da un insolito destino…, film che, ancora De Masi, descrive come un vero trattato politico-antropologico, nel suo rovesciamento di ruoli, tra uomo e donna, capo e padrone, che lo caratterizza.

Scorrono, nel documentario di Valerio Ruiz, immagini e aneddoti di un cinema che non esiste più, dove l’attenzione e l’investimento sui dettagli era molto (la produttrice Marina Cicogna ricorda di come per Film d’amore e d’anarchia la Wertmuller volle che le prostitute del bordello fossero di tante regioni diverse e che il doppiaggio per i vari dialetti costò …quasi come il film intero).

Certo, il successo di quei film non è stato più replicato, nonostante  opere interessanti degli anni’80 e ‘90 (pensiamo a Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti, 1986 o a Io speriamo che me la cavo, 1992). Ma Lina Wertmuller,  presente a Venezia con i suoi occhiali bianchi d’ordinanza, e in una splendida forma per la sua età, ha continuato a creare in vari campi e a ricevere riconoscimenti (come il David di Donatello alla carriera  nel 2010). E in questo film, offre anche allo  spettatore alcune chicche musicali inedite, per spettacoli magari ancora da realizzare…


di Redazione
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