Diabolik – Chi sei?

La recensione di Diabolik - Chi sei?, di Marco e Antonio Manetti, a cura di Guido Reverdito.

Il 4 marzo 1968 è una data epocale per le migliaia di appassionati della saga fumettistica di Diabolik. Quel giorno uscì in Italia il quinto albo del settimo anno di avventure del più famoso e amato criminale delle nostre latitudini. Un albo divenuto ben presto oggetto di culto: dopo anni di sussurri e grida, in quella vicenda i lettori poterono finalmente scoprire il passato del proprio anti-eroe e le tragiche ragioni per cui un orfano in debito col destino si fosse convertito nel nemico pubblico numero 1.

Ed è guardando alla trasposizione delle appassionanti vicende narrate in quell’albo ormai mitico e rivelatore che con questo Diabolik – Chi sei? i fratelli Manetti hanno deciso di concludere la trilogia iniziata tre anni or sono con Diabolik e poi proseguita con Diabolik – Ginko all’attacco, scegliendo di regalare ai fan una chiusa degna dell’incipit con cui tutto era iniziato. E lo hanno fatto avvisando il pubblico fin dal titolo con questo neo-noir a forti tinte thriller passato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e ora nelle sale.

Dopo un attacco ad alto tasso adrenalinico con al centro le imprese di una banda di rapinatori violentissimi, Diabolik e la sua nemesi Ginko finiscono per esserne le vittime da cacciatori che erano: incatenati in una stanza angusta e con la sola prospettiva di uscirne senza vita, i due acerrimi nemici si lasciano andare a confessioni da condannati a morte. Ed è lì che per la gioia di chi ha sempre voluto vedere cosa ci sia dietro la maschera nera (materiale e piscologica) Diabolik racconta le origini del proprio ego mutilato dalla Vita.

Fedeli a un’idea di cinema capace di trasferire sullo schermo le pagine di un fumetto conservandone accuratamente spiriti e forme (sia nella ricreazione di una non-città irreale come Clerville che nella recitazione monodimensionale adottata da tutti gli attori), anche in questo capitolo conclusivo della loro mini saga i fratelli Manetti ricostruiscono con cura maniacale gli ambienti in cui fanno muovere i propri personaggi.

Ma allo stesso tempo non esitano a pagare importanti tributi all’età d’oro del poliziottesco italiano muovendosi a proprio agio e con precise intenzioni citazionistiche tra le atmosfere violente della Milano calibro 9 di Fernando Di Leo, il giallo e il thriller coevi di autori quali Bava, Argento e Fulci (con il cameo di Barbara Bouchet a confermare queste precise intenzioni). Senza però mai nemmeno tralasciare strizzate d’occhi all’horror gotico di certa produzione targata RKO dei lontani anni ’40 (come pare più che evidente nel lungo flash-back in bianco e nero su infanzia e adolescenza del Re del Terrore).

Dopo il pop in versione anni ’60 dei primi due capitoli, in questo atto finale della saga – che inizialmente doveva essere una serie TV prodotta da Sky – l’azione si sposta di un decennio. Quegli anni ’70 duri e violenti che i fratelli Manetti rievocano con dovizia filologica mettendo insieme un bignami onnicomprensivo di un’era al cianuro in cui tutto era estremo e la barbarie la sintassi con cui la criminalità esprimeva tutto il disagio di una società orfana dei miti rassicuranti della rivoluzione sessantottesca.

Diabolik – Chi sei? parla di quegli anni, certo. Ma rispetto ai primi due capitoli che erano del tutto scollati dalla realtà presente, questo atto finale riesce anche a suggerire allo spettatore una riflessione sui giorni nostri: uniti da uno stesso tragico destino, Diabolik e Ginko – ying e yang testosteronici ridotti all’impotenza coatta da forze ancora più devastanti del loro connubio di guardie e ladri senza scrupoli – rischierebbero di fare una brutta fine se a salvarli non fossero Eva Kant e la Duchessa Altea. Come a ribadire la centralità di quello che una volta era il sesso debole e che oggi, finalmente e giustamente, ha fatto di quella debolezza la forza che manda avanti il mondo. Ovvero: che ne sarebbe di noi se non ci fossero le donne?


di Guido Reverdito
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