Detective Marlowe

La recensione di Detective Marlowe, di Neil Jordan, a cura di Ignazio Senatore.

Ci mancava. L’ultimo film che vedeva protagonista sul grande schermo Philip Marlowe è Marlowe indaga, del 1978, per la regia di Michael Winner. In verità, è del 1998 Marlowe – Omicidio a Poodle Springs di Bob Rafelson, tratto dall’omonimo romanzo incompiuto dello scrittore americano, ma era un prodotto destinato alla tv. A rispolverare l’iconica figura di Marlowe, l’investigatore privato, nato dalla penna di Raymond Chandler, è il talentuoso Neil Jordan, autore de La moglie  del soldato (1992), Intervista con vampiro (1994) The butcher boy (1997) e Breakfast on Pluto (2005).  A dire il vero, il regista irlandese non ripropone l’ennesimo remake di un  capolavoro di Chandler, bensì traspone sul grande schermo il romanzo La bionda dagli occhi neri – Un’indagine di Philip Marlowe di John Banville (2014).

In Detective Marlowe, il famoso detective privato, interpretato da Liam Neeson, è contattato da Clare Cavendish (Diane Kruger) che gli chiede di rintracciare un certo Nico Peterson (Francois Aranud), il suo amante, misteriosamente scomparso. Per la polizia, Peterson é morto, vittima di una pirata della strada, fuori il lussuoso e riservato Corbata Club, ma Clare convince Marlowe che Nico è vivo e che, dietro questa messinscena, c’è lo zampino di qualche poliziotto corrotto e di alcune persone influenti della città. Marlowe inizia le indagini e, come prevedibile, dovrà vedersela con dei tipacci che gli danno la caccia e cercano in tutti i modi di evitare che ficchi il naso nei loro loschi affari. Marlowe s’imbatterà in Dorothy Quincannon (Jessica Lange), vecchia star del cinema, madre di Claire, nel ricco e sprezzante Lou Hendricks (Alain Cunning) e in Floyd Hanson (Danny Houston), cinico gestore del Corbata Club luogo di perdizione della città, dove circola droga e impazzano prostituzione e gioco d’azzardo.

In questo film, ambientato nel ’39 a Los Angeles, dalla confezione di gran classe, la trama è avvincente e, come in ogni poliziesco che si rispetti, ricca di colpi di scena. Anche se il personaggio di Marlowe, ispido e solitario, è, nel complesso, fedele a quello chandleriano, tante le differenze; il famoso detective, infatti, non aveva mai avuto una segretaria, non era così dedito a scazzottature e, soprattutto, non aveva mai ucciso qualcuno. Inoltre, Banville non è Chandler e i dialoghi, anche se taglienti, sono privi di quell’ironia sferzante tipica dello scrittore di Chicago.

Ma a ben vedere, il limite maggiore del film è nella scelta dello statico e legnoso Neeson , già diretto da Jordan in Michael Collins (1996). L’attore britannico, infatti, non ha il fascino di Humphrey Bogart, il carisma di Robert Mitchum, la simpatia di Elliot Gould, il ghigno ironico di James Caan e la fisicità di Dick Powell e George Montgomery, interpreti in passato del leggendario Marlowe. Nei a parte, il film è una gioia per gli occhi e, anche se non è in bianco e nero, ma a colori, ci riporta a quelle magiche atmosfere dei noir e dei romanzi dell’hard- boiled school.


di Ignazio Senatore
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