Desiré

La recensione di Desiré, di Mario Vezza, a cura di Ignazio Senatore.

Ormai si sa: grazie alle produzioni cinematografiche (La paranza dei bambini, Gomorra e le sue infinite imitazioni) Napoli è considerata, in assoluto, il luogo dove alberga il Male. La Chicago di Al Capone degli Anni Trenta, al confronto, impallidisce. Ma la città all’ombra del Vesuvio è unica al mondo; affascina, strega ed è il set ideale per narrare le storie di chi non ha un posto nel mondo.  

La vicenda narra di Desirè (Nassiratou Zanre), giovane nigeriana, fidanzata con Emanuele, un ragazzino che prova a farsi strada nel mondo della malavita. Figlia di una tossicodipendente, è costretta a spacciare. Pizzicata dalla polizia, é reclusa al Carcere minorile di Nisida. L’impatto non é dei più semplici: schiva, introversa e silenziosa non lega con le altre detenute che hanno, come lei, già una vita spezzata alle spalle e la mente ingarbugliata da mille rovelli. Desirè ha come compagna di cella Rita (Tonia De Micco), un’adolescente sveglia che, avendo compreso come va il mondo, lotta con le unghie e con i denti, per non farsi sopraffare. Quando Carmine (Enrico Lo Verso) propone alle recluse di interpretare l’Amleto, nessuna sembra ragazza entusiasta e, svogliatamente, portano a termine la recita. Desirè, approfittando di un permesso premio, contatta Emanuele e gli propone di partire in nave con lei per la Spagna. Ma durante la traversata Desirè comprende che non può essere questo il suo futuro e…

Mario Vezza, all’esordio in un lungometraggio, s’affida alla sceneggiatura del pluripremiato Maurizio Braucci e di Fabrizio Nardi e gira tra Napoli e il carcere minorile di Nisida, già teatro di L’amore buio di Antonio Capuano (2010) ma divenuto iconico per il successo televisivo di Mare Fuori. La scelta di allestire uno spettacolo teatrale con i detenuti non é nuova; Davide Ferrario l’aveva proposta già nel suo Tutta colpa di Giuda (2018) e recentemente anche Riccardo Milani in Grazie, ragazzi.

Vezza, però, non enfatizza l’esperienza teatrale e, giustamente, sottolinea come il background delle detenute sia distante mille anni luce dal capolavoro shakesperiano. In realtà, il regista e gli sceneggiatori vogliono sottolineare come il mondo emotivo delle detenute sia così povero e appiattito che neanche le gesta del principe norvegese, sono in grado di sciogliere il ghiaccio che hanno nel cuore. Il film ha, nel complesso, un tono melanconico e Vezza, attento allo scavo psicologico dei personaggi, senza banalizzarlo, propone il classico racconto di formazione.

Desirè, adolescente implosa e melanconica, non ha però nulla della battagliera e combattiva protagonista di Fiore di Claudio Giovannesi (2016) e il finale, lascia l’amaro in bocca allo spettatore. Lo Verso e De Micco sugli scudi e la tenera Zanre è convincente. Antonella Stefanucci, nei panni di una materna guardia penitenziaria. A completare il cast Brunella Cacciuni e Diego Sommaripa.


di Ignazio Senatore
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