Cosmonauta
Sicuramente interessante, se pur non scevro da difetti, questo Cosmonauta, opera prima di Susanna Nicchiarelli che ha vinto il Premio per il miglior film nella sezione “Controcampo italiano” alla Mostra del Cinema di Venezia 2009. Siamo nel 1957: la piccola Luciana abbandona frettolosamente la chiesa e torna a casa; la prima comunione non c’entra niente con lei che è “comunista” come il suo papà defunto. Ci ritroviamo nel 1963: Luciana (l’esordiente Miriana Raschillà) è ora un’adolescente con tutte le inquietudini della sua età, alle quali si aggiungono grattacapi familiari come le preoccupazioni per Arturo, il fratello maggiore epilettico (Pietro Del Giudice, anche lui esordiente) e la forte avversione per il nuovo marito di sua madre (interpretati da Sergio Rubini e Claudia Pandolfi). Sullo sfondo di questi anni c’è la “sfida spaziale” tra Urss e Usa, ma sono comunque le conquiste sovietiche, catturate da immagini di repertorio, ad animare e a galvanizzare Luciana e il fratello: dal lancio in orbita della cagnetta Laika nel ’57, a bordo dello Sputnik 2, alle imprese dei cosmonauti – “astronauti sono gli americani” dice Arturo a sua madre – Gagarin nel ’61 e Tereshkowa nel ’63. Anche Luciana e il fratello sono in un certo senso due cosmonauti, i cosmonauti di un “universo” molto più piccolo, i navigatori sognanti di un “microcosmo”: il ragazzo con la sua dedizione a bizzarri e ingenui esperimenti “missilistici”; la ragazza che, con la sua grinta, tenta di emergere e di far sentire la propria voce all’interno del circolo dei giovani comunisti di cui fa parte con Arturo, in attesa di un incontro personale con gli alti comandi moscoviti; ancora loro insieme mentre, distesi sulla terrazza di casa, osservano estasiati il cielo notturno. Abbiamo anticipato che il primo lungometraggio della Nicchiarelli (che nel film è anche interprete nel ruolo della “compagna” Marisa) non è privo di imperfezioni; che possiamo rintracciare nella sua sostanza narrativa non sempre coesa e omogenea; in qualche stonatura espressiva; nella non sempre padroneggiata direzione degli attori. Sono, tuttavia, difetti che non annullano quanto di positivo Cosmonauta contiene: l’approccio fresco e originale alla materia; l’apprezzabile cura, corroborata da una fotografia funzionale, nella costruzione degli ambienti e dei colori dell’epoca; il giocare su timbri ora esteriori e più giocosi ora più introspettivi e malinconici senza mai voler calcare troppo la mano; l’atteggiamento divertito e schietto della regista e la sensibilità del suo sguardo. Un plauso va anche alla indovinata colonna sonora curata da Max Casacci dei Subsonica, tutta basata su efficaci e calzanti rivisitazioni di canzoni famose come, ad esempio, Nessuno mi può giudicare, È la pioggia che va e Cuore matto.
Un particolare merito della regista è poi quello di aver cercato di narrare l’adolescenza di Luciana con un piglio partecipe e affettuoso (lo stesso personaggio interpretato dalla Nicchiarelli è molto legato a quello della ragazza, che lo erige a esempio da seguire), ma al contempo lucido e consapevole. Nonostante una certa tipica “immaturità” da opera prima, impostando le file del discorso da un’angolazione fortemente femminile e “adulta”, distante quindi da tentazioni pateticamente giovanilistiche o atteggiamenti scaltri e di facile presa, la regista realizza un piccolo romanzo di formazione, gradevole e sincero, conferendo credibilità al personaggio di Luciana, a quello che le capita, ai suoi sogni, ai suoi complessi, alla sua rabbia, alle sue ansie sentimentali e al mondo che la circonda. Le immagini dello sbarco sulla luna degli americani Aldrin e Armstrong – che chiudono il film – probabilmente andranno a disincantare la ragazza, ma non cancelleranno la sincerità dei suoi ideali e del suo vissuto.
di Leonardo Gregorio